La Liguria del No al referendum costituzionale è diffusa e motivata. È, con buone probabilità, più radicata questa opinione contraria, qui piuttosto che in altri territori per alcune ragioni così chiare da sconcertare.
Sconcerta che il governo Renzi ben rappresentato in Liguria da due ministri di notevole peso, Pinotti alla Difesa e Orlando alla Giustizia, non se ne voglia rendere conto, dall’esito fragorosamente negativo delle elezioni regionali regalate al centrodestra e di quelle savonesi mal gestite, alla gestione di un Pd che dovrebbe essere “di direzione politica” e invece non riesce nemmeno a essere “di potere”.
Il No al referendum potrebbe diventare, in Liguria, un moto di ribellione contro l’emarginazione del territorio che con il referendum, che mette sullo stesso piano la rappresentanza della Liguria e quella della Val d’Aosta, si trasforma in umiliazione. Come fanno nelle guerre o nelle battaglie i vincitori-occupanti con i vinti-occupati. L’umiliazione. Nel caso della battaglia persa dalla Liguria, senza nemmeno occupazione politica perché qui la politica è un termine sconosciuto e se ne è reso conto il coordinatore David Ermini.
I liguri sono scazzati, chiedo scusa per la parola non elegante, scazzatissimi. E non andrebbe sottovalutata dal governo Renzi e dai ministri liguri la scazzatura, perché questa terra (Genova in particolare lo ha dimostrato nella storia anche recente) ha l’unica, straordinaria capacita di ribellarsi e di originare ribellioni incisive. Cioè qui si fa scuola: il 1960 contro la Dc di Tambroni, gli anni ’80 con De Mita contro la Dc dorotea, il 2001 con il G8, il 2015 contro il burlandismo. Ma potrete trovare voi molti altri episodi.
Questa riforma che salva le Regioni a statuto speciale e le province autonome con tutti i loro privilegi, oggi senza alcuna ragione logica, (anzi i sottosviluppati da sostenere saremmo proprio noi, con un tessuto industriale azzerato e una gioventù fatta fuggire lontano) diventerà ancora più ininfluente.
L’irrilevanza della Liguria (2 senatori) viene sancita, in caso di vittoria del Si, dalla scarsissima rappresentanza che avremmo nel nuovo Senato delle autonomie. Tanti “consiglieri-senatori” quanti la Val d’Aosta o la Provincia di Trento. Il minimo di sopravvivenza. Un sistema paritario mal corretto, cioè che danneggia sempre qualcuno. Una strana autonomia che privilegia solo i già privilegiati da una “eccezionalità” che oggi non ha ragioni di esistere. Altro che riforma caro presidente.
L’indifferenza con cui questi argomenti vengono elusi, fuorviati dalla identificazione del referendum con un plebiscito pro o contro Renzi, spaventa e allarma. A meno che al Pd di Renzi e del suo governo della Liguria non importi meno che zero. Politiche industriali inesistenti, porto considerato ininfluente, infrastrutture di collegamento ignorate, con una ferrovia che viene ricordata solo per due esempi: il binario unico verso la Francia e, in positivo, la simpatica Genova-Casella tra ginestre e fungaie.
La prima lezione pesante contro l’arroganza, a livello nazionale, il Pd l’ha beccata con la scelta di Sergio Cofferati di andarsene dopo primarie che oggi rivelano inquietanti inquinamenti allora denunciati e dalla dirigenza romana liquidati con battute sciocche, distacco che, volenti o no, ha segnato la prima ufficiale ribellione contro il partito dei Novissimi.
Questo referendum, se il Sì, cioè il governo, cioè il premier, cioè i suoi ministri, non si daranno una regolata, rischia di trasformarsi in una nuova rivolta territoriale. Chi sostiene questa parte lo faccia capire a Palazzo Chigi.
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Il 'No' può diventare la rivolta contro l'umiliazione
Con la riforma la Liguria peserebbe come la Valle d'Aosta
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