cronaca

Lo sfogo di Prè: "Tutto a nostre spese, l'inclusione va fatta altrove"
3 minuti e 3 secondi di lettura
Arriva da Quezzi una possibile risposta all’emergenza migranti in città a Genova. A più di un anno dalla contestata apertura del centro d’accoglienza, l’esperienza di Casa Bozzo in via Edera ha trasformato timori e scetticismi del quartiere collinare in un dossier pieno di progetti terminati, in corso e futuri. Un lavoro serio e silenzioso ai margini della grande città, dove invece proseguono gli scontri legati al centro storico e cresce il disagio di chi non riesce più a vedere degrado sommarsi a degrado.

Oggi, nella struttura gestita dal Ceis e intitolata alla famiglia Bozzo-Costa, che in questa zona contribuì anche alla costruzione di una chiesa, alloggiano una cinquantina di richiedenti asilo tra i 25 e i 30 anni. In seguito, dopo le dovute ristrutturazioni, l’edificio ospiterà anche minori e anziani. Il compleanno della struttura – cinquant’anni dalla sua costruzione – lo si festeggia col cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova: è l’occasione per benedire le mura e per inaugurare una targa a monsignor Molini (il suo primo promotore) e una statua a Bianca Costa.

“Avevamo un disegno molto preciso – racconta Enrico Costa, presidente del Ceis – volevamo fare di Casa Bozzo una città nella città, al servizio di tutti. Questi ragazzi provengono dal Niger, dal Mali, dalla zona del Bengali. Hanno tutti tra i 25 e i 30 anni ed esprimono una gran voglia di lavorare”. L’ultimo progetto in ordine di tempo è quello del frutteto: un’area boschiva incolta a margine della struttura dove i migranti hanno eliminato le erbe infestanti e avviato un orto collettivo con 40 piante che nei prossimi mesi verrà aperto alla cittadinanza. Altra attività recente è quella nei giardini Lamboglia di Marassi, dove un gruppo di giovani africani sta ridipingendo le pareti. Sempre nei pressi di Casa Bozzo era stato ripristinato un muro pericolante sulla creusa di via Ammarengo.

Alla notizia del loro imminente insediamento, una parte del quartiere alzò le barricate per paura di diventare il “bronx di Genova”. Contro il centro si mobilitò anche Forza Nuova. Molti lamentavano che la cittadinanza non era stata avvertita, benché si trattasse di una struttura privata. Il risultato, a un anno di distanza, è che l’emergenza sicurezza connessa all’immigrazione è un fenomeno reale, ma non certo a Quezzi. “Non ne possiamo più di centri profughi, non è così che si integrano. Il centro storico è saturo da troppi anni. Le cooperative e le associazioni dicono di fare inclusione, ma la fanno a spese dei residenti. Siamo pieni di immobili occupati abusivamente”, si sfoga a Primocanale Marco Ravera, riferimento dell’osservatorio Gramsci-Prè.

“L’accoglienza – continua Ravera – va praticata nei quartieri riqualificati, non dove ci sono già tanti problemi”. Quelli che risiedono nei vicoli sono spesso immigrati senza documenti, con un forte bisogno di soldi, che rappresentano perciò l’obiettivo principale del racket, sempre pronto a reclutarli per lo spaccio o altre attività illecite. Ed è per questo, ribatte Costa, che “noi del Ceis non abbiamo nessun appartamento nel centro storico e a Sampierdarena cerchiamo di essere il meno invasivi possibile. Cerchiamo quartieri in grado di accogliere per stabilità del loro ambiente e anche fuori Genova, nel Ponente e Levante ligure”. Un esempio parallelo è quello di Campo Ligure, dove – continua Costa – “i ragazzi si sono integrati tanto bene da essere assunti dalle aziende della zona, dopo aver fatto vedere quanta voglia avevano di impegnarsi e lavorare”.