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Il commento
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Gli anni d'oro di Palazzo Ducale arrivano al traguardo dei successi con un involontario inciampo: la vicenda dei falsi Modigliani. Giustamente il Palazzo si sente "parte lesa" e, forse, chiederà i danni.

E farà bene perché la storia di Palazzo Ducale negli ultimi dieci anni di vita ha rappresentato un simbolo di Genova che davvero si trasforma in città post-industriale, di una industria che allora si etichettava come "decotta" e che ha lasciato spazio a un turismo di numeri forti, retto dall'Acquario ma anche dalla cultura intesa in senso tradizionale, fatta di mostre, quadri, fotografie, lezioni, cicli, eventi. Il Ducale è un elemento di cui Genova non può fare a meno, per fortuna.

Palazzo Ducale posto tra la piazza civile, De Ferrari, e la porta del centro storico, piazza Mattetotti, doveva diventare la cerniera tra due porzioni di Genova, quella ottocentesca e quella medievale. Così dicevano progettisti, architetti e urbanisti quando il Palazzo fu recuperato dalla vecchia funzione di palazzo di giustizia.

Così è stato, ma è andato oltre: da dieci anni il Ducale ha fatto da "fabbrica" della cultura, con iniziative per lo più azzeccate, interessanti, giustamente popolari, che hanno macinato numeri significativi, offrendo occasioni di intelligenza ai genovesi. Che hanno risposto con entusiasmo. Di questa operazione va dato merito allo staff numericamente esile, ma appassionato del Palazzo, con Luca Borzani in testa.

Ora con la nuova giunta di Marco Bucci e il nuovo assessore alla Cultura, Elisa Serafini, giunti alla naturale scadenza del mandato, dovrà essere individuato un nuovo presidente al quale sarà affidata la guida del Palazzo dei prossimi cinque o più anni.

Il presidente non prende un euro e questo è già un elemento caratterizzante dell'incarico. Chi accetta la presidenza lo fa per passione, magari per restituire qualche cosa che "ha avuto" dalla città . Ma non è' la gratuità che fa "buona" l'idea. Così come non sono del tutto d'accordo sulla cultura gratis per tutti. Ci deve essere cultura gratis e cultura a pagamento perché la cultura costa.

Quello che ora, però, occorre è un cambio di passo. Non per rinnegare il passato! Guai! Ma per aprire nuove porte, nuovi menù d'arte, nuove prospettive e stimoli differenti. È, per esempio, giusto affidarsi sempre ai grandi organizzatori di mostre itineranti? È impensabile produrre materiale originale? Se per forza bisogna rientrare nel giro dei consumatori di Grandi Mostre preconfezionate, con che criteri vanno scelti questi patron della Cultura di massa?

Mi piacerebbe che il cambio a Palazzo, questa "rotazione" per usare una parola che da alcuni giorni ha sostituito l'orribile "rottamazione" fosse davvero sinonimo di nuovo, di fresco, di diverso. Anche e soprattutto nei cicli che hanno avuto tanto successo in questi memorabili dieci anni.

I cicli sono belli, danno garanzia, ma a un certo punto non offrono più stimoli particolari: sempre le stesse facce, sempre le stesse teste. C'è il ciclo del prossimo anno, chiudi gli occhi e butti giù l'elenco dei protagonisti, cioè dei relatori/professori/giornalisti/storici/filosofi in ordine alfabetico senza sbagliarne uno. Rischiano, così, di diventare un cartellone della Compagnia dei Soliti Noti.

Ecco, chissà che il nuovo che arriverà al Ducale, forte del successo consolidato in dieci anni, non ci offra qualche novità? Che nella suggestiva piazza coperta appaiano a raccontare storie e idee del nostro tempo e del futuro volti diversi?

Elisa Serafini avrà anche questa incombenza tutt'altro che facile. È giovane e incontaminata. Potrà provarci oppure, logicamente, girare gli occhi indietro per riacciuffare un "usato sicuro" che andrà avanti granitico e immutabile, ma che sarà , certamente sicuro, ma pur sempre usato. Cioè di seconda, terza o quarta mano. E le idee di seconda mano perdono appeal.