politica

Il capogruppo del Pd in Consiglio comunale
5 minuti e 16 secondi di lettura
Ieri si è consumato a Palazzo Tursi quello che giustamente il Direttore Leone ha definito il rito stantio della verifica di maggioranza. Segno inequivocabile, di una politica più concentrata ad occuparsi di sè stessa che dei problemi della città.

Fa bene il Sindaco a dire che le sue dimissioni non risolverebbero nessuno dei problemi dei Genova, ma pecca di ottimismo della volontà quando afferma che la città non è in declino. Il declino è profondo e, soprattutto, doloroso per chi ne subisce quotidianamente, da anni, i devastanti effetti.

E’ il declino di una città dove gli autobus vanno a fuoco, i cassonetti rimangono pieni troppo a lungo (e comunque più di prima), la grande impresa segna il passo, l’università è sempre meno attrattiva e solo il porto cresce, dando però la sensazione che sia più un luogo dove la ricchezza transiti anzichè fermarsi. 

Ma è anche il declino di un sentimento collettivo, la stanchezza di una città di cui sembra di nuovo, come negli anni ’80, spento lo spirito. Le cosiddette classi dirigenti passano il loro tempo a cambiarsi d’abito per transitare, con desolante disinvoltura, dagli appuntamenti elettorali di Raffaella Paita alle discoteche di Giovanni Toti; i sindacati e i partiti del centrosinistra consumano l’insostenibilità di un patto corporativo costruito negli anni ’90 che scambiava posti di lavoro nelle aziende pubbliche con consenso politico e il Partito Democratico, nato per cambiare il Paese e le città, si devasta nelle sue misere lotte intestine senza la capacità di uno slancio e lo stesso Renzi vede erodersi il mito della sua infallibilità.

Mentre il centrodestra si prepara quindi ad utilizzare il governo della Regione per recuperare un consolidamento che a Genova ha perso da più di 20 anni trainato dal populismo leghista e il Movimento 5 Stelle raccoglie il livore della rottura dei patti corporativi di un centrosinistra intrappolato tra la necessità delle riforme e alleati in comune indisponibili a farle, Genova, desolata, si spegne.

Quattro fatti su tutti sono indicativi più di altri di questo stato delle cose.
Mentre il Galliera illustra il suo scintillante progetto di ospedale avanguardia per la città di chi se lo può permettere la Valpolcevera, Sampierdarena e il Ponente aspettano ancora un ospedale che faccia dimenticare la vergogna di 300.000 cittadini aggrappati al fortino di Villa Scassi.
Mentre l’Università sprofonda nelle classifiche degli atenei a Genova si parla solo di Erzelli e non di come rilanciare, anche attraverso un nuovo patto con il Governo, una delle sue principali ricchezze mettendo a disposizione aree pubbliche e liberando tutti dai ricatti di una logica speculativa nata prima della crisi del 2007 che oggi non ha più ragione d’essere se non per chi l’ha promossa.
Mentre la più grande area industriale della città vive l’ultima agonia dell’acciaio, nessuno riesce a dichiarare morto l’Accordo su Cornigliano e proporre un  futuro non di inutile resistenza ma di un rilancio che sia vero e non la retorica della smart city.
Mentre accade tutto questo nessuno interroga il nuovo proprietario della più importante banca del territorio, chiedendo a chi ha per fortuna deciso di investire in Carige se è disponibile a investire in Genova e nelle sue tanti opportunità.

Il Sindaco Doria ha il profilo umano e politico per essere la figura che raccoglie tutto questo e con coraggio proponga un cambiamento radicale, imprimendo una direzione diversa per la sua città. Non  ha vincoli di partito, nè un passato da difendere, nè interessi da proteggere. Sino ad oggi due cose lo hanno però frenato.

La prima è il suo rispetto per i partiti che lo sostengono. Partiti deboli, divisi e forse incompatibili. Il Sindaco ha il dovere e la forza per dire a tutti costoro di fare un passo indietro, di stringere un patto con Genova e i genovesi.
La seconda è una visione del Comune molto alta e poco amministrativa. Una visione da cui sono discese molte delle scelte della squadra: brave persone, spesso colte, ma molto poco preparate al confronto quotidiano con una città difficile e sofferente. Una squadra in cui l’Assessore Emanuele Piazza, pragmatico e attento alle forze produttive e vive della città, sembra un benvenuto alieno o in cui gli straordinari risultati del poco appariscente ma efficacissimo assessore Gianni Crivello, che in tre anni ha saputo, anche grazie al Governo Renzi, avviare (non promettere) opere di prevenzione contro le alluvioni mai viste in nessun’altra realtà italiana in ogni epoca.
Il Sindaco ha il dovere di puntare sulle sue forze migliori, occupandosi prima di ogni altra cosa di ridare a Genova decoro e dignità, facendo funzionare i servizi, estirpando le resistenze di vecchi burocrati e dare sollievo alla povertà sempre più diffusa non con la carità ma con la capacità di creare lavoro e non scaricando sulle tariffe e i tributi locali gli errori della politica. Una città normale oggi sarebbe rivoluzionaria.

Per il Partito Democratico, che a lungo ha in questa città rappresentato un motore del cambiamento, il dovere è quello di sostenere questa piccola rivoluzione senza ambiguità e reticenze e dedicando molto meno tempo alla composizione delle sue segreterie e alle diaspore dei propri consiglieri. La domanda “il Pd vuole sostenere questo Sindaco” è semplicemente inutile. La domanda è se il Pd vuole e merita di amministrare Genova, consapevoli che oggi come oggi noi siamo una concausa del declino e che solo cambiando completamente direzione potremo essere coloro che invece lo sconfiggono.

E’ un esito non scontato, che segnerà il destino di una generazione intera di gruppo dirigente genovese del Pd, che può riscattarsi o definitivamente perdersi. Io penso che abbiamo esattamente come il Sindaco Doria, il dovere di provarci.
Anche se dovremo lasciare la casa che oggi amministriamo, credo sia più giusto lasciarla in ordine e non con le persiane staccate, i pavimenti rotti e la muffa alle pareti. Perchè Genova è la casa di tutti e sarà la nostra anche se un giorno dovesse amministrarla qualcun altro.