Ogni tanto rispuntano improvvisamente i fantasmi di via Fracchia, quella strada stretta e in salita sulle alture di Oregina, dove alla fine degli anni Settanta si consumò la tragedia finale del terrorismo a Genova e non solo.
E’ successo anche questa estate e non certo per la coincidenza con la morte di Paolo Villaggio, che si era inventato uno stra-personaggio, con il nome di quella fatidica strada genovese.
In realtà la storia di via Fracchia, dove venne ucciso in un’alba livida e tragica l’operaio sindacalista Guido Rossa, colpito dal brigatista rosso Riccardo Dura e dove alla fine di marzo venne sgominato il misterioso commando delle Br che aveva lì un suo covo segretissimo, non è mai stata chiarita del tutto. Ed è per questo che ogni tanto e non solo nell’anniversario della morte di Rossa quei fantasmi sbucano con altri dubbi, altre domande, altri collegamenti nella ricostruzione dei fatti che avevano reso “di piombo” quegli anni, sopratutto nella nostra Genova, una delle capitali del terrorismo.
Ora si fanno collegamenti tra le tragedie di quella strada e l’altra tragedia della morte di Aldo Moro, il capo della Dc, sequestrato, processato e alla fine ucciso dalle Br, quasi un anno prima dei fatti di via Fracchia.
Nel covo misterioso della colonna genovese c’erano anche le carte segrete del sequestro Moro, le lettere da lui scritte durante la sua drammatica prigionia, altri documenti con la stella a cinque punte?
Quei fantasmi sono agitati di nuovo dalla ennesima commissione d’inchiesta parlamentare sulla fine di Aldo Moro, che sventolano punti di collegamento tra le carte del “cavallo di razza” della Dc e il covo genovese. Parlamentari, che allora avevano ancora i calzoni corti, lanciano dubbi, tentano collegamenti, immaginano liaisons tra l’omicidio dello statista che lo Stato non riuscì a salvare e la sconfitta finale delle Br, partita proprio da via Fracchia, dalla irruzione dei carabinieri del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, che uccisero Riccardo Dura, Roberto Panciroli, Lorenzo Betassa e Anna Maria Ludmann, i quattro terroristi nascosti in via Fracchia, ignoti fino al momento della loro morte, clandestini al centro per cento, insospettabili come la ragazza Ludmann, grigia impiegata nell’ufficio genovese della Alliance Francaise.
Così si scava nel passato, si interrogano i testimoni di quei fatti, inquirenti, sopratutto magistrati, tutti in pensione, per capire se c’erano quei collegamenti, se è vero che le carte di Moro erano finite sepolte nel giardino di via Fracchia, come se questo potesse aiutarci a risolvere i due problemi chiave del fenomeno terrorista in Italia: 1) Moro poteva essere salvato?; 2) Le Br avevano infiltrazioni di corpi separati dello Stato,erano in qualche modo controllate dai servizi segreti?
Questi problemi non sono mai stati risolti e probabilmente non lo saranno mai. Non c’è carta nascosta, memoriale segreto, testimone pronto a parlare, che possa fare luce.
Chi ha vissuto quegli anni da testimone, magari da semplice cronista, sa che allora non si capiva nulla delle Br. Se ne ignorava la consistenza, la forza, il numero. Se ne temeva la forza, sopratutto dopo gli omicidi a catena e quel sequestro Moro che aveva dimostrato la loro “geometrica potenza”. Fu solo grazie ai pentimenti, alla legge che consentiva ai terroristi assassini di avere enormi vantaggi processuali, che il mostro terrorista fu sconfitto. Patrizio Peci, uno dei capi si pentì e consegnò perfino le chiavi dell’appartamento di via Fracchia ai carabinieri con tanto di indirizzo, numero civico e interno.
Così crollo il castello terrorista, saltò la compartimentazione delle colonne, il sistema clandestino che proteggeva l’esercito misterioso. Pensavamo che fossero migliaia i terroristi, dietro le sigle di quegli anni. Erano poche centinaia. Li hanno smascherati, costretti alla resa, al pentimento in poco tempo. Uno come Savasta, il più sanguinario, che si macchiò di diciassette omicidi, è libero in qualche stato straniero e lontano, magari dopo essersi fatto una plastica facciale. Molti misteri e molti interrogativi restano, come quei due che ho elencato prima sulla fine di Moro e sulle infiltrazioni dei servizi.
Certo in via Fracchia successe qualcosa che non è mai stato ricostruito da nessuna inchiesta o processo. Non è un caso se la Procura di Genova si rifiutò per anni e anni di archiviare l’inchiesta su quel fatto, sulla morte di quei quattro terroristi, trovati semi nudi dentro all’appartamento con le armi in pugno. Non c’è fantasma di Ferragosto che tenga.
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I fantasmi di via Fracchia. Ma non è colpa di Paolo Villaggio
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