cronaca

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Hanno tutti gli occhi lucidi, un pacchetto in mano (un piccolo omaggio del comune) e lo sguardo volto in basso, a malcelare una tristezza profondissma e inconsolabile: sono i familiari delle 43 vittime di ponte Morandi, l'altra faccia di una drammatica medaglia.

Perché se gli sfollati hanno subito un danno enorme, i commercianti rischiano la fame e i genovesi passano le giornate in coda, il pensiero di chi tra le macerie del viadotto ha lasciato una vita, un amore, un affetto, fa gelare il sangue.

C'erano loro, oggi, attorno a Pietro Piciocchi e Ilaria Cavo, nel salone di rappresentanza di palazzo Tursi: un'occasione utile per spiegare le ultime delibere, i provvedimenti in loro favore. Ma anche per 'fare gruppo', per parlarsi, per condividere il dolore.

C'è compostezza in queste persone a cui la vita ha giocato il tranello peggiore: pochi hanno voglia di parlare con i giornalisti, una donna, alla fine, si fa forza per essere la portavoce dei sentimenti di tutti. E' Egle, la signora che vedete nel video allegato a questo articolo: sul ponte Morandi ha perso quattro persone, la sorella e tre nipoti. 

Ce ne sarebbe abbastanza per spegnere la telecamera e andarsene, per maledire chi cavilla sul codice penale e imprecare: ma è giusto che la voce di chi la voce l'ha persa, a furia di piangere e gridare, arrivi forte a tutti

"Ci siamo anche noi - dice Egle raccogliendo le forze - abbiamo fondato il nostro comitato perché troppa gente organizza commemorazioni o cerimonie in onore dei nostri cari senza avere nulla a che fare con le nostre famiglie".

Egle, e poi tutti gli altri che quando il microfono si abbassa trovano la forza per avvicinarsi, raccontano il dramma di chi ha perso tutto in quella disastrosa mattina di agosto.

Una signora si avvicina e mi guarda dritto in faccia: apre la camicia, sotto c'è una t-shirt con l'immagine di una ragazza bellissima. "Era mia figlia, nessuno me la potrà ridare". 

Già, nessuno. Neppure tutto l'oro del mondo, che certamente i colpevoli saranno obbligati a versare, potrà ripagare queste persone e il loro dramma.

La compostezza è anche delle istituzioni: "Siamo contenti di quello che stanno facendo per noi, lo scriva", mi dice un uomo a cui il ponte ha sterminato la famiglia.

Pietro e Ilaria, ormai questa gente li chiama per nome, hanno una parola per tutti ma, questa volta, non per la tv. "Non è questo il momento", dice Ilaria Cavo con la voce rotta dalla commozione. Lei, che davanti ai taccuini non si è mai risparmiata, questa volta fa un passo indietro: "E' così difficile affrontare questa situazione, abbiamo cercato di fare tutto il possibile. Vederli qui, insieme, uniti, è molto importante".

Pietro Piciocchi riceve tutti, uno a uno: "Abbiamo spiegato che cosa abbiamo fatto e cosa potremo fare per loro. Non è molto, lo ammetto, non ho strumenti idonei, senza contare che alcune famiglie neppure risiedono a Genova. Abbiamo pensato ad abbonamenti ai parcheggi, ai mezzi pubblici, al Carlo Felice. Li abbiamo esentati dalla Tari ma purtroppo non dall'Imu, perché non compete a noi. Cerchiamo di stargli vicino, questa è la cosa più importante".

"Vogliamo giustizia", dicono in coro i parenti delle vittime: "Crediamo nella magistratura e non ci fidiamo di autostrade, dopo quello che è successo".

Giustizia. E sostegno a chi è ancora vivo ma moralmente distrutto: i parenti, certo, ma anche i miracolati del ponte, quelli che sono crollati con il Morandi ma sono sopravvissuti. Anche loro sono 'parte del gruppo', anche a loro il comune e la regione daranno il loro sostegno. 

Perché il confine tra la vita e la morte, talvolta, è proprio fragile: fragile come il ponte assassino e come gli alibi di chi si difende.