economia

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Un debito pubblico che anche cominciando a calare si attesterà intorno al 130% del Pil, un “buco” stimato fra 5 e 16 miliardi dopo che la Consulta ha bocciato il blocco della perequazione delle pensioni, più i denari da trovare per mettere in sicurezza il bilancio 2015. Bastano questi ingredienti (e ce ne sarebbero altri) per rendere inverosimile l’affermazione del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, secondo il quale “non sarà necessaria alcuna manovra”. Non è che voglio dare del bugiardo al ministro, è che la sua dichiarazione risulterà solo formalmente veritiera: aspettiamoci, infatti, operazioni di architettura finanziaria in virtù delle quali la pressione fiscale aumenterà ancora, sebbene il governo non si sporcherà le mani alzando le tasse.

L’assenza di una manovra, infatti, sarà soltanto virtuale, un’illusione ottica. A dircelo è la stessa Unione europea, che non casualmente nelle sue previsioni di primavera sulle prospettive dei conti italiani annuncia: “Abbiamo incluso l’aumento dell’Iva”. Che cosa vuol dire? Semplicemente che se quest’anno le misure previste nella Legge di Stabilità non assicureranno il pareggio di bilancio entro il 2017 (avremmo già dovuto conseguirlo e abbiamo ottenuto una moratoria) l’aliquota Iva del 10% rischia di arrivare al 13 nel 2017 e quella al 22% potrebbe, entro il 2018, balzare fino al 25,5%. E’ la cosiddetta clausola di salvaguardia, che evidentemente a Bruxelles ritengono sia fatalmente destinata a scattare. Almeno a sentire il commissario Ue per gli Affari Economici Pierre Moscovici.

Il suo annuncio, arrivato ieri, è stranamente passato sotto il silenzio della grande informazione, che ha invece preferito concentrarsi di più sui dati meno avvilenti della crescita. Ma anche qui non è che siamo di fronte a cifre da capogiro: nel 2015 il Pil salirà di appena lo 0,6% , una ripresina “ina ina”, mentre l’anno prossimo si dovrebbe vedere un più concreto incremento dell’1,4%. Qui, però, c’è un elemento di contraddizione: accanto al rilancio degli investimenti pubblici, che certamente potranno fare da motore dell’economia, l’Ue piazza anche una ripresa dei consumi. Credibile se l’Iva dovesse schizzar su? La risposta sta nella domanda e difatti la disattenzione dell’informazione non è quella degli operatori economici, che hanno subito drizzato le antenne quando Moscovici ha parlato di aumento dell’imposta.

Come usa dirsi, chi vivrà vedrà. Un paio di cose certe, però, già ci sono. La prima: Matteo Renzi metta lo stesso muso duro che ha usato per l’Italicum nel tagliare la spesa pubblica, in particolare quella improduttiva (e lì dentro ci stanno sprechi di ogni genere a ogni latitudine, Stato ed enti locali, compresi i costi della politica che non sono solo le indennità di parlamentari e consiglieri regionali). La seconda: tutta la classe dirigente, non solo il governo, deve farsi carico di creare le condizioni migliori per far ripartire l’occupazione, perché il Jobs Act (al netto di ogni polemica e/o considerazione) al massimo stabilizzerà il lavoro esistente, ma non ne creerà di nuovo. Questo vuol dire, come chiedono soprattutto le piccole e medie imprese, sburocratizzazione e ulteriore allentamento da una parte della pressione fiscale sulle aziende e dall’altra un ulteriore calo del costo del lavoro, per mettere più denaro in tasca alle famiglie.

Alcuni interventi possono essere a costo zero, altri richiedono risorse che rendono ineludibile e indifferibile una manovra, questa sì, sulla spesa. In questo settore una grande mano dovranno darla anche le amministrazioni locali, a cominciare da quelle regionali in via di rinnovo con le elezioni del 31 maggio prossimo. Per stare alla Liguria, non è che nei programmi degli otto aspiranti governatori in lizza si vedano cose appena normali, non dico mirabolanti, sul versante della ristrutturazione e del miglioramento della spesa. Tutti fanno leva su argomenti facilmente spendibili propagandisticamente come la riduzione dei compensi ai consiglieri e/o l’azzeramento dei fondi ai gruppi consiliari (quelli all’origine dell’inchiesta sulle “spese pazze”, per intenderci). Ma questo è il minimo sindacale, di questi tempi necessario per mandare in segnale di virtù ai cittadini, angosciati dai loro conti familiari che tendono al rosso dalla terza settimana (e a volte non c’è neppure una spia che si possa accendere), ma bisogna riporre ogni ipocrisia: non sono questi gli interventi che possono restituire un tale volume di risorse per incidere davvero sulle pre-condizioni che mettano la Liguria in condizioni di crescere.

Chi arriverà dopo Claudio Burlando raccoglierà la pesante eredità di indicatori economici da profondo Sud, senza neppure gli aiuti che Roma cerca di riconoscere al Mezzogiorno. Ovviamente la situazione è figlia di un contesto generale, non solo responsabilità dell’amministrazione regionale uscente. Bisogna cancellare, però, quello che la Regione ci ha messo di suo e aggiungerci le ricette giuste. Cari candidati governatore, battete un colpo.