Non la cosiddetta buona politica, ma qualsiasi attività umana ha almeno due pre-condizioni: l'onestà tout court e l'onestà intellettuale. Quest'ultima è un concetto che più di altri si collega alla politica, poiché senza di essa si è non solo di parte, ma anche settari, faziosi, pronti a strumentalizzare la qualunque. La riflessione mi è sorta spontanea guardando al balletto di queste ore a proposito del voto processo sì oppure processo no per il vicepremier, ministro dell'Interno e leader della Lega Matteo Salvini.
La vera patata bollente, dicono un po' tutti gli osservatori, c'è l'hanno in mano i pentastellati: se votano a favore di Salvini subiranno le ire del loro elettorato, leggasi una flessione drammatica dei consensi, se votano contro mettono seriamente a repentaglio la tenuta del governo giallo-verde. Ora, chi mi conosce sa che dai grillini mi separa una distanza siderale praticamente su tutti gli argomenti, ma stavolta mi sento di sostenerne le tesi assolutorie verso Salvini proprio perché rivendico una onestà intellettuale di fondo.
Si dice: i pentastellati hanno costruito il loro successo anche sul mantra dei parlamentari da non proteggere mai con qualcosa che somigli alla vecchia immunità. Vero. Ma il primo quesito a cui rispondere è: Salvini il presunto reato di sequestro di persona, a proposito della nave Diciotti e dei suoi occupanti tenuti a bagnomaria in mezzo al mare, lo avrebbe commesso perché ciò gli ha permesso di intascare un illecito profitto in termini di volgarissimo denaro? Cioè, legata alla sua decisione è avvenuta una dazione di soldi, come si chiamavano le mazzette ai tempi di Tangentopoli?
Sappiamo che la risposta è no, che non è assolutamente avvenuto ciò. Salvini, e con esso il governo che difatti si auto-chiama a correo, ha compiuto una scelta politica. Magari sbagliata, criticabile, degna della più dura reprimenda pubblica, ma parliamo solo e soltanto di politica. Se così stanno le cose, perché mai i duri e puri del grillismo si fanno venire dei mancamenti all'idea di votare a favore di Salvini? Una cosa è prendere tangenti o comunque avere comportamenti illeciti connessi al profitto personale, altro, altrissimo direi se la grammatica lo consentisse, fare politica.
Non vorrei, insomma, che il pre-requisito della onestà intellettuale fosse venuto meno proprio in quella fascia di movimento che dice di richiamarsi alle origini incontaminate, come se di mezzo non ci fosse stato, per esempio, il caso della sindaca di Roma Virginia Raggi. Dopo mille discettazioni sul caso di espellerla o meno, per fortuna senza arrivare alla conseguenza peggiore, lei a processo ci è andata per forza, non godendo delle tutele riconosciute a un ministro. Ed è finita come tutti sanno: assoluzione piena. Che cosa sarebbe accaduto se i pentastellati, invece, l'avessero cacciata con ignominia ancor prima del giudizio?
Qualche anima candida so già che obietterà: Virginia, però, è uscita bene dal processo, che c'è stato eccome. Vero, ma come ho già ricordato un sindaco non ha le prerogative di un ministro, come opportunamente la Costituzione stabilisce. E poi, a dirla tutta e sempre se si vuole essere intellettualmente onesti: Salvini la sua assoluzione l'avrebbe già ottenuta, visto che la Procura, cioè la pubblica accusa, aveva chiesto l'archiviazione del caso. Il Tribunale dei Ministri di Catania la pensa diversamente. Ci sta e difatti ha seguito la procedura, chiedendo di poter procedere contro il ministro dell'Interno. Ma sempre nel nome della stessa corretta procedura, il Parlamento può rispondere che no, non c'è proprio niente da perseguire. E possono dirlo senza tema di smentita anche i pentastellati: magari maldestramente e in modo criticabilissimo, ma Salvini ha fatto politica, non ha preso tangenti. I grillini rischiano fulmini e saette dai loro elettori? Può darsi. Però, magari, guadagnano il consenso di chi fin qui è stato frenato dal loro eccessivo radicalismo. Qualcuno ci ha pensato?
politica
I 5 Stelle non devono temere di dire no al processo a Salvini
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