cronaca

Ancora tanti i ragazzi genovesi e non solo in cerca di fortuna nella City
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Li chiamano "cervelli in fuga", e sono considerati l'effetto più lampante della disoccupazione giovanile in Italia. Il numero di ragazzi che incrociano le braccia di fronte alla mancanza di prospettive occupazionali nella penisola, è sempre in crescita. A convincere a fare le valige alla fascia di età che va dai 18 ai 30 anni è soprattutto la mancanza di prospettive di assunzione e la possibilità di trasformare in mestiere, se possibile redditizio, anni di studio settoriale.

"Sto studiando giurisprudenza, ma già so che ci sono più avvocati che clienti per avvocati" chiosa un 19enne alla biblioteca Berio di Genova "perché ho scelto questa facoltà? E' una laurea prestigiosa, almeno sulla carta. Ma in futuro spero di andare all'estero. Magari a Londra". Già, Londra. L'Eldorado degli scontenti. Una versione europea del sogno americano, che ha di fatto regalato un futuro credibile e alternativo a tanti ragazzi italiani, soprattutto negli ultimi dieci anni.

La nostra comunità nel Regno Unito è numericamente impressionante.
E il 60% di questi emigrati è under 35 (Aire). Ma non tutto è pound quel che luccica. Le storie personali diventano miti, che diventano stereotipi. Il lavoro a Londra c'è. Ma davvero è conveniente per tutti? Una larga fetta di chi ha staccato il biglietto aereo per la "City" risponde negativamente. Orari massacranti, paghe misere, prezzi degli affitti bollenti. Parliamo di una delle città più costose d’Europa. La Londra italiana è la Londra degli aspiranti self-made man. Dei camerieri che puntano a diventare manager dei pub e che, mattone su mattone, costruiscono il proprio futuro. Molti ce l'hanno fatta. Ma le loro storie hanno convinto gran parte dei giovani emigrati che quel percorso sia il paracadute ideale. La regolamentazione del lavoro è una delle prime criticità a cui vanno incontro i ragazzi. A partire dal curriculum, in cui, a differenza di quello italiano, viene tenuto conto in maniera relativa dell’istruzione, dando più risalto alle precedenti attività lavorative.

A farne le spese sono i neolaureati nostrani, costretti a partire svantaggiati contro la spietata concorrenza dei coetanei inglesi ed europei. Non ultimo il problema della lingua. Molto in voga la semplificazione per cui qualche mese da cameriere capovolge il livello di comprensione e utilizzo dell’inglese. Vero in parte, ma il target richiesto per lavori legati alla laurea che si ha in tasca è molto elevato, e spesso richiede un attestato linguistico vero e proprio, impossibile da costruire in pochi mesi con la sola esperienza lavorativa.
Ma quindi le prospettive ci sono? La risposta è si. Ma va sottolineato che a una parte di giovani che vuole mollare tutto e cercare fortuna all’ombra del Big Ben, corrisponde un’altra parte che ci ha provato e che vuole tornare in Italia.