Cronaca

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Parla a Primocanale uno dei ginecologi finiti nell’inchiesta dei Nas sulla presunta truffa degli esami istologici privati effettuati a carico del servizio sanitario pubblico, accusato insieme ad altri 36 professionisti, tra medici e tecnici di laboratorio, di truffa, peculato e falso ideologico. Non vuole essere intervistato –l’inchiesta è appena iniziata– ma spiega come funziona quello che definisce un “sistema tutto italiano” legato agli esami privati, e la difficoltà di sottrarsi a un meccanismo che ormai viene quasi dato per scontato giri così. Tutto ruota attorno al pap test, l’esame che serve ad accertare la presenza del tumore all’utero. Il ginecologo consegna il vetrino del test a un citopatologo per l’analisi delle cellule. E’ a questo punto che può subentrare l’illecito. Perché il citopatologo ha bisogno di strutture di laboratorio per colorare con un reagente chimico il vetrino e leggere poi i risultati. Secondo l’accusa i medici finiti nell’inchiesta utilizzavano i laboratori, i tecnici e le sostanze reagenti dell’ospedale San Martino di Genova, ma anche del Galiera, del San Carlo di Voltri, del Gallino di Pontedecimo e del Santa Corona di Pietra Ligure, quindi del servizio sanitario pubblico, per esami in realtà privati, senza dichiararlo alla direzione dell’ospedale che altrimenti avrebbe richiesto, secondo la procedura di entramoenia, il 30% del costo della prestazione. “Nel mio caso –spiega il ginecologo interpellato da Primocanale– non potevo sapere se il citopatologo a cui mi rivolgevo dichiarasse o meno la richiesta di esami. Io mi sono sempre fatto fare regolare fattura. E ho sempre emesso fattura alle mie pazienti”. Il giro di esami privati a carico del servizio pubblico sarebbe elevato. Tanto che la procura di Genova, che ha ordinato decine di perquisizioni in ospedali, laboratori di analisi, studi medici e abitazioni private, ipotizza il reato di associazione a delinquere.