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La Fiera è la plastica dimostrazione delle molte ragioni del declino
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La conferma da parte del sindaco Marco Doria che la Fiera di Genova viaggia a tappe forzate verso la messa in liquidazione è una notizia solo apparente. La decisione era talmente annunciata che bisognerebbe sorprendersi del contrario.

Al netto dell'inqualificabile scelta di tutelare il bilancio comunale a discapito dei conti della società, la cui prima emergenza è la mancanza di liquidità e nonostante ciò il Comune non paga il suo debito di circa 15 milioni, scontandolo con i canoni demaniali futuri, la cosa più grave è l'assenza di un vero progetto sul futuro delle attività fieristiche e delle aree eventualmente lasciate libere nel cuore della città.

Stiamo studiando, stiamo valutando, stiamo verificando: questo è il mantra che arriva da Palazzo Tursi, che insieme alla Città metropolitana rappresenta l'azionista di maggioranza di Fiera (gli altri sono Regione, Camera di Commercio e Autorità portuale). Pare impossibile che una scelta così rilevante e grave come la messa in liquidazione di Fiera non sia accompagnata da un progetto chiaro sul destino di attività cruciali come il Salone Nautico e a cascata gli altri eventi che hanno costituito l'ossatura di un'importante parte dell'economia cittadina, fra diretto e indotto. Eppure è così.

Siamo di fronte alla plastica dimostrazione di una Genova in balia delle onde, senza timone e senza rotta. Ostaggio di una politica, e quindi di istituzioni e più in generale di una classe dirigente, incapaci di vedere. Sia lontano, sia vicino. Niente sarebbe, infatti, se quello della Fiera fosse l'unico caso nel suo genere.

Invece, nell'inedia di una programmazione degna di questo nome sono precipitati anche l'Amt e il trasporto pubblico locale, l'Amiu e la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti (risolverà qualcosa la discesa in campo di Iren?), Erzelli e un parco tecnologico partiti da grande scommessa sull'hi-tech e finiti con la deriva di una grande operazione immobiliare e l'idea che tutto si riduca al trasferimento in collina di Ingegneria.

Se ci mettiamo il Carlo Felice, che ha drenato denari senza che ad oggi si veda un vero piano per il futuro, piuttosto che il Blueprint, di cui tutti si riempiono la bocca senza spiegare come si possano trovare i denari per realizzarlo, ecco confezionato un rosario di questioni irrisolte alle quali altre se ne potrebbero aggiungere per spiegare il declino di Genova. E pazienza se lor signori si adontano, bollando come "gufi", termine oggi molto di moda, quanti si soffermano su questa semplice constatazione.

Sulla Fiera, il legittimo timore per la sorte dei dipendenti ha spinto il segretario della Cisl, Luca Maestripieri, ad annunciare la richiesta di un incontro con gli azionisti per cercare di capire: "Ci dicano che cosa vogliono fare". Magari il sindacato riuscirà dove gli altri hanno fallito, spingendo fuori dal bla-bla di circostanza i protagonisti della vicenda e costringendoli a chiarire che cosa hanno davvero in testa. Il dubbio, però, è che questo qualcosa esista.