Sul fronte Ericsson ci saranno altre giornate roventi. Sarà così finché non arriverà la convocazione dal Mise per un incontro con l'azienda, già saltato il 22 giugno. Lunedì il corteo ha bloccato la Sopraelevata e mandato il traffico nel caos. Mercoledì nuova assemblea agli Erzelli per decidere il da farsi. Giovedì o venerdì, se il Governo non comunicherà una data, sarà ancora sciopero.
Ma la vicenda Ericsson va inquadrata partendo dalle cifre. Di fronte a un piano di tagli così corposo, che a Genova prevede 140 esuberi – ma ricordiamo che il piano generale prevede la dismissione di 380 posti di lavoro – un normale cittadino pensa che un'azienda in difficoltà possa anche procedere a una manovra così dolorosa. Ma la situazione non è esattamente in questi termini.
Se andiamo a vedere i dati relativi ai conti del gruppo, scopriamo che nel quarto trimestre del 2015 i profitti furono di 760 milioni di euro in crescita del 67%. E le vendite, effettivamente, erano ulteriormente cresciute perché erano salite a 7,64 miliardi di euro rispetto ai precedenti 33 miliardi. Quindi, sia i profitti sia le vendite di Ericsson erano in crescita.
Che cosa è successo nel primo trimestre del 2016? Uno dice: Ericsson taglia così tanto i posti di lavoro perché i conti sono precipitati. E invece vediamo che nel periodo gennaio-marzo i profitti sono stati di 220 milioni, quindi in crescita del 40%. I ricavi hanno sofferto, invece, perché si sono attestati a 5,7 miliardi in flessione del 2,4%. Una flessione che, considerando la crisi globale, è persino abbastanza limitata. Ma questo è lo scenario in cui si incastona la decisione di Ericsson di fare una così pesante ristrutturazione degli organici.
È vero che se il profitto non è abbastanza grande scatta la reazione delle borse in negativo. È il cosiddetto 'profit warning', l'allarme profitti. Ma non porsi minimamente il problema della ricaduta sociale di certe scelte è grave, anche da parte di multinazionali che di solito sono più legate alle performance del titolo che a questi problemi. Performance che, tra l'altro, riguardano spesso gli stessi vertici dell'azienda che, essendo proprietari di stock option, hanno tutto da guadagnare avvenga quel che avvenga. Il paradosso è che quando un'azienda annuncia tagli di organico il titolo in borsa guardagna e non perde, come invece il comune buon senso indurrebbe a pensare.
A fronte dello scenario di un gruppo particolarmente solido e in salute, ci troviamo con tagli che vedono un Governo impotente. Non si riesce a ottenere un tavolo di trattativa al Mise, non si sa se e quando si aprirà al Ministero del lavoro, ma eventualmente sarebbe solo per ridurre il danno occupazionale. Nessun Governo ha mai messo in campo una vera politica industriale che sappia tutelare l'occupazione e tenere un occhio attento agli interessi dell'azienda.
A livello regionale tutti tirano per la giacca il governatore Toti incalzandolo ad alzare la voce col Governo, ma le sue capacità di intervento sono limitate. Rimane la grande beffa: Ericsson ha incassato persino contributi pubblici per sbarcare a Erzelli, mentre in poco tempo sembra disimpegnarsi vistosamente dal progetto, il che la dice lunga su come è stato impostato il progetto del villaggio tecnologico genovese.
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Ericsson taglia i posti di lavoro ma i profitti continuano a crescere
Mercoledì nuova assemblea agli Erzelli: senza risposte ancora blocco
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