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Eder segna per l’Italia, conquista tutti e si fa scoprire da coloro che non conoscevano le doti. Un ragazzo sempre sorridente, silenzioso, che in pochi anni è cresciuto fino a diventare uno degli attaccanti più importanti(dove per importante si definisce non solo chi fa gol ma anche chi aiuta la squadra)della serie A. E che, suo malgrado, si è trovato catapultato in mezzo alla polemica sugli oriundi in Nazionale.

Il calcio italiano ha sempre avuto un rapporto contrastato con gli oriundi. Se i vari Orsi, Monti e Guaita erano stati funzionali alla conquista dei titoli mondiali negli anni trenta (e al regime), a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, i grandi campioni “italianizzati” per le loro origini non fecero una gran bella figura. Per i più giovani che non ci credono basta andare su You Tube e risentire il commento del cinegiornale alla disfatta di Belfast nel 1958 quando l’Italia non si qualificò nemmeno per il Mondiale svedese sotto i colpi della “tremenda”(si fa per dire) Irlanda del Nord di Blanchflower. Un ironico “gli assi” è il complimento più gentile per i vari Ghiggia, Schiaffino, Montuori e Da Costa. E poi, suvvia, il nostro calcio è quello che, per reagire alla disfatta con la Corea pensò che bastasse chiudere le frontiere e diventare calcio autarchico.

Però, come sempre, l’Italia sa essere anche il paese senza mezze misure. E allora, dalla legge Bosman in poi, nel nostro campionato hanno preso a scorazzare fuoriclasse(pochissimi), campioni(qualcuno), buoni giocatori(abbastanza), mestieranti(tanti) e oggetti misteriosi( troppi). Il risultato? Scontato, il patrimonio “umano” del nostro calcio ne è uscito impoverito con la conseguenza che i Ct della Nazionale si sono trovati quasi per forza costretti a convocare giocatori oriundi per cercare soluzioni adeguate in diversi reparti. E la scelta di Eder, peraltro benedetta per Conte visto che gli ha tolto le castagne dal fuoco a Sofia, di Vazquez e prima di Paletta, Thiago Motta e C. è figlia proprio di questa politica dissennata soprattutto dei grandi club.

Già, i grandi club. Perché, dopotutto sono stati loro ad attuare una quasi ossessiva ricerca del nome “esotico” da dare in pasto alla tifoseria (magari pensando di risparmiare anche qualcosina). Basta fare due calcoli. Per esempio, nelle gare di ritorno dei recenti turni di Coppa, le 6 italiane in campo hanno complessivamente schierato, nelle formazioni iniziali, 18 italiani su 66 giocatori(il 27, 27%). Tra gli attaccanti, gli italiani erano appena 2 su 17(11,76%).

Per concludere quale può essere la riflessione che arriva dalle polemiche, roventi e forse anche spropositate sugli oriundi? Chi è causa del suo mal, pianga se stesso. I club hanno scelto la strada dell’esterofilia spinta, impoverendo i settori giovanili: qualche buon talento langue in panchina nei grandi club e poi prova a rilanciarsi altrove ( guardate Saponara appena tornato ad Empoli) mentre altri o emigrano o faticano ad emergere. Per questi motivi, soprattutto, il ricorso agli oriundi per la Nazionale, anche perché si è ormai in un epoca di integrazione totale, appare quasi indispensabile. Sempre che della Nazionale, ai signori dei club, freghi qualcosa dato che viene sempre più vista come un fastidio.