economia

Allarme per il decreto che depenalizza le frodi
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Niente più detenzione - ad oggi si prevedono fino a due anni di carcere - è una multa sotto i 10.000 euro, contro i 20.000 attuali. Se il decreto legislativo passasse così come è concepito, la frode sull'origine dell'olio d'oliva sarà non solo depenalizzata, ma considerando i volumi di affari costerà una sanzione amministrativa più blanda rispetto a quella per un divieto di sosta. Alla faccia della tutela del Made in Italy in un settore, quello agroalimentare, che investe anche la sicurezza a tavola dei consumatori.

Eppure è quanto sta accadendo alla chetichella, con un governo finora sordo a ogni sollecitazione per evitare l'ennesimo colpo sulle produzioni italiane (e liguri in particolare). È vero che in tutto ciò esiste la colpevole complicità dell'Unione europea, la cui politica sembra tesa a una liberalizzazione degna di miglior causa. Ma finora la voce del nostro Paese è stata fin troppo flebile, per non dire assente, in un processo di difesa delle imprese che altre cancellerie, invece, stanno portando avanti con crescente forza, e persino arroganza.

L'ultimo grido di allarme si è levato da Imperia, per bocca di Enrico Lupi, presidente delle Città dell'Olio, organizzazione che raggruppa le principali località italiane dove si produce il cosiddetto "oro verde": "Ciò che viene descritto in etichetta - afferma Lupi - deve corrispondere a verità e bisogna punire davvero i malfattori. La cultura del prodotto, ovvero l'origine, il territorio, l'ambiente, il paesaggio, la storia, le persone (gli olivicoltori) sono valori che non hanno eguali e non possono essere mortificati da norme che non garantiscono la trasparenza e soprattutto non condannano fortemente chi opera in modo illecito".

Quella di Lupi, però, se non è una voce isolata poco ci manca. A parte qualche parlamentare territoriale (per esempio il grillino pugliese L'Abbate), infatti, finora non si è visto il necessario spiegamento di forze, politiche e istituzionali, che invece dovrebbero incalzare il governo, di Roma e di Bruxelles, per impedire uno scempio e una vergogna al tempo stesso.

La difesa dell'origine dell'olio, e più in generale dell'agroalimentare italiano, costituisce anche la difesa della dieta mediterranea, una cultura che si muove in parallelo e in stretto contatto con le più avanzate indicazioni sanitarie sul modo migliore di cibarsi. E se ciò non bastasse bisogna considerare la portata economica di questa battaglia, che non è figlia di una moda, bensì di un interesse economico nazionale, palesemente messo in pericolo dalla volontà di lucrare enormi benefici da parte di altri Paesi Ue (e non solo).

Qui non si tratta di mettere in campo decisioni o strategie protezionistiche tipo i dazi di antica memoria, ma semplicemente di pretendere la necessaria chiarezza sull'origine dei prodotti, l'olio in particolare, già duramente messa alla prova da pratiche illegali che nella contraffazione nominale possono poi trovare uno sbocco ancor peggiore nella commercializzazione di intrugli dannosi alla salute. Fermo restando che la sola tutela della qualità basta e avanza per rivendicare un'etichetta trasparente e fedele all'interesse dei consumatori.

Chi decide di nutrirsi con un prodotto "improprio" ha diritto di farlo consapevolmente e a maggior ragione questa consapevolezza va riconosciuta a chi sceglie di spendere qualche euro in più per portare in tavola un prodotto che ritiene al top della gamma. Depenalizzare la frode sull'origine dell'olio, come fa quel decreto legislativo, invece, è il modo migliore per consegnare i consumatori al destino di pagare senza avere. Cornuti e mazziati.