cultura

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Sai, c’è ”una ragione di più”, per la Liguria. Queste parole, che ricordano il titolo di una evergreen della canzone italiana (1969, scritta da Mino Reitano e Franco Califano per Ornella Vanoni), possono essere stimolo per una riflessione profonda, segno di amore per la nostra Regione, base per una sua autentica ri-partenza, fondata sulla condivisione da parte dei suoi cittadini di poche cose semplici nella loro natura e, al tempo stesso, difficili da conciliare fra loro. Come in ogni scienza, come in ogni filosofia, per dirla alla greca, anche qui si comincia con lo stupore per ciò che non si comprende. Lo scopo è di arrivare alla comprensione.

La civiltà ligure è un’unità anche se non può essere nettamente delimitata all’inizio e alla fine. Fra i diversi e importanti compiti di coloro che operano nel nostro tempo in Liguria c’è anche quello di far rivivere, con la forza della scienza e secondo la metrica attuale, quella storia che pare scomparsa: il canto del poeta, il pensiero del filosofo e del legislatore, la santità del tempio, i sentimenti dei credenti e dei non credenti, le molteplici attività del mercato e del porto per terra e per mare, gli uomini intenti al lavoro e al gioco. Osservare tutte queste cose diverse rappresenta un vero passo in avanti rispetto all’idea monumentale e selettiva di alcuni valori consolidati.

C’è, nella realtà antica della Liguria, così come in quella di ogni altra terra, la totalità dell’esistenza, e questo permette di comprendere che i valori presenti in quel che ci resta del mondo ligure ormai antico sono in conflitto fra loro. E’ un mondo dilaniato dal conflitto, dove però lo scontro tra visioni opposte alimenta la crescita e lo sviluppo intellettuale. Siamo dunque ben lungi dal poter immaginare o sognare che ci sia lì il tabernacolo dei valori raccolti in bene ordinati cassetti nei quali noi ci vogliamo rispecchiare: quello è un mondo che aiuta a capire la difficoltà, a capire che non sempre i problemi hanno una soluzione.

Allora che fare?
Occorre persuadere molta gente, specie i giovani, che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza.

Un chiarimento si impone. La via meno convincente per caldeggiare questo studio consiste nel vantarne, con innocua volontà provocatoria l’”inutilità”. Si rischia, ciò facendo, di ridurre un problema serio a un gioco di parole o anche a un falso sillogismo o “paralogismo” per dirla con Aristotele, in cui lo stesso termine (inutile) è preso in due sensi differenti: come equivalente di non-utile (per il senso comune) e come equivalente di disinteressato, non legato a interessi materiali o a altro genere di usurpazione, insomma fine a se stesso. Pare decisivo richiamare il prosieguo dell’incipit: Liguria, “sai c’è una ragione di più…ti amo”.