La scena si svolge in una piccola tabaccheria del centro di Genova. La simpatica titolare, accesa ma educata, motiva le ragione della sua decisione di andare a votare “sempre e per ogni occasione”.
Pur essendo giovane sostiene che il voto è più che un dovere, un diritto.
Ha di fronte un cliente anziano e focoso. Con un divertente linguaggio non proprio da educande, l’anziano dichiara la sua decisione irrevocabile di non andare in cabina elettorale il prossimo 4 marzo.
“Ormai non ci vado più da tempo…” sbotta. E alla controffensiva della civica tabaccaia snocciola un florilegio cavato dal serbatoio pieno dei luoghi comuni. Dal “sono tutti ladri”, al “vanno a Roma solo per occupare le cadreghe”. Passa da un “intanto se la spassano con i nostri soldi” a un definitivo “sono tutti uguali”.
Mi viene un’ irresistibile voglia di sostenere le ragioni della tabaccaia. Mi viene un bisogno intrattenibile di insultare l’anziano (che poi ha solo qualche anno più di me, ma nemmeno troppi) utilizzando anche io la valigia dei luoghi comuni a sostegno del voto, primo fra tutti e definitivo quello della libertà di opinione: “Se lei non andrà a votare, non potrà più lamentarsi di quello che accade”.
Ma taccio. Anche perché, ragionando a freddo, mi chiedo che diritto ho di impedirgli di lamentarsi dell’eventuale governo di turno anche se non è andato a votare. Sarebbe come impedire agli evasori di utilizzare i servizi forniti dallo Stato. Tu non paghi le tasse? Allora non andare al pronto soccorso quando cadi per strada.
Esco dalla tabaccheria che l’energumeno no-voto ancora inveisce contro quel che resta dei partiti, tirando fuori nomi di uomini politici ormai defunti ma, a suo dire, già pesantemente responsabili della sua convinzione negativista.
Per fortuna non ho reagito. Per demolire le mie ragioni (che in ogni caso non cambierò mai finché mi consentiranno di votare, anche fosse solo al Festival di Sanremo o nei sondaggi on line di Sky) sarebbe stato sufficiente che l’iroso vecchietto mi contestasse una nemmeno troppo irrealistica possibilità. Quella di votare il 4 marzo, poi ritornare a votare magari fra sei mesi.
Come potrò mai spiegare a chi mi contesta, che il voto è necessario, mentre tutti i leader senza distinzione, si stanno scannando su irrealistici programmi fatti di cancellazioni devastanti, ma su un argomento sono tutti sconsideratamente d’accordo?
Cioè che se il 5 marzo non ci sono maggioranze per governare si tornerà a votare nel giro di pochi mesi senza se e senza ma.
politica
Come giustifico a un iroso genovese che voterò per tornare a rivotare?
L'approccio al 4 marzo e l'ingovernabilità con l'attuale legge elettorale
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