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"Noi pronti a farci valutare dagli stranieri. E l'università?"
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"Ho riscontrato il tentativo di dire che non siamo trasparenti, che siamo brocchi e sovra-finanziati. Di questo, in una normalissima dialettica tra istituzioni dello Stato, se ne può parlare. Sul resto ho molti più dubbi anche perché, allo scopo di tenere in piedi il teorema, si usano numeri sbagliati, non so se ad arte o per svista, e secondariamente si trascura una serie di indicatori che vengono scomodi alla teoria. Ne esce una visione abbastanza parziale".

Così Roberto Cingolani, direttore dell'Iit di Genova, intervistato da Mario Paternostro per Primocanale risponde alle sferzate della senatrice a vita Elena Cattaneo, ex ricercatrice, che in un'intervento pubblicato da 'Il Secolo XIX accusa l'istituto di essere "privilegiato" rispetto ad altri enti di ricerca e punta il dito contro il cosiddetto "tesoretto" accantonato nei primi anni di vita. "È un documento politico, non mi riguarda - spiega il direttore - Ma posso dire questo: rivendico assolutamente la sana gestione. La senatrice parla di numeri che non so dove abbia trovato".

Cingolani, tutto nasce da questi 415 milioni accantonati dall’Iit.
Ma basta spiegare come funziona la contabilità dello Stato, è di una semplicità assoluta. Lo Stato ogni anno dà un platfond di 100 milioni. Non è che si mettono in cassaforte e poi si spendono, l’istituto fa le sue spese e poi dice allo Stato: rimborsami quello ce ho speso. È ovvio che una struttura a regime come siamo noi spende tutto quello che ha. Nei primi anni, mentre si avviano i laboratori e si reclutano persone, se uno gestisce normalmente non prende tutto ma punta a risparmiare. Noi abbiamo richiesto solo alcune spese, il resto rimane in Banca d’Italia, in un conto non fruttifero. È un risparmio di gestione. Ma la filosofia è molto chiara: se avessimo buttato tutti i soldi ci avrebbero detto ‘bravi’? Non credo.

Quindi quando la senatrice Cattaneo si domanda se esistono ancora la risposta è che esistono perché sono da un’altra parte?

Anzitutto non sono il destinatario della domanda. Io ho speso come ho potuto spendere. Abbiamo un piano di sviluppo, continueremo a investire in laboratori, ma non potevamo buttare soldi dalla finestra. Non so chi le risponderà, ma voglio fare un’osservazione generale: qui c’è un credito, se adesso lo si tirasse fuori questi denari dovrebbero essere stampati e inizierebbero a fare debito.

In questo articolo c’è come la sensazione che Iit sia ricco mentre l’università è povera. Poi ci sono domande sui brevetti, quanti ne fanno Iit e l’università, e un discorso sui fondi, modesti per la ricerca italiana, assorbiti dagli stipendi dei professori e degli amministrativi.

I numeri che Cattaneo cita sono sbagliati. Noi non abbiamo 27 milioni di spesa per il personale, ma 60. Ma tanto conta poco mettere due numeri in fila. I numeri sono diversi. Ovvio che se alcune istituzioni dello Stato hanno il 90-95% del budget fissato sul personale. Noi abbiamo cercato di mantenere un amministrativo ogni dieci ricercatori, e questo è il vantaggio di essere giovani. Ed è una colpa? Poi credo sia molto sbagliato fare un intervento divisivo, cadere nella trappola di chi fa meglio.

Cattaneo infatti dice che Iit avrebbe i fondi senza competizione.

Questa è una sciocchezza della quale dovrà rendere conto perché è una fake information. Gli enti di ricerca statali prendono 1,7 miliardi per il fondo ordinario, destinato a stipendi, costi eccetera. Poi ciascuno di noi gareggia in Europa per ottenere i fondi competitivi. E ha ragione Cattaneo quando dice che sono pochi. Ma non può trasformare i fondi ordinari in competitivi: se lo fa, deve farlo per ogni altro ente. Vorrebbe dire mettere in mezzo alla strada le persone. Se noi spendiamo in un certo modo non è colpa nostra.

E sui brevetti?
Sorvolerei. In 10 anni abbiamo fatto 550 brevetti, quasi tutti internazionali. Abbiamo i dati Netval, pubblici, in cui si dimostra la nostra capacità di inventare. Non è una gara tra noi e l’università. Andiamo molto d’accordo con le università, abbiamo missioni diverse. La senatrice contesta l’Anvur, l’agenzia del ministero che ci valuta tutti, e sbaglia: Iit è primo, non tra i primi, ma primo, in sei settori. In una disciplina siamo secondi a pari merito col primo. Allora facciamo una bella valutazione comparativa con metodi internazionali. Più ci valutano e più abbiamo da guadagnare. Non facciamo polemiche, noi ci facciamo valutare, scelgano loro i parametri.

Com’è l’università italiana?

Le rispondo da ex professore universitario, che si è dimesso da questo lavoro, e che ha figli all’università. I nostri cervelli vanno in fuga perché qualcuno se li compra, quindi sono preparati molto bene. Quindi c’è un’idiosincrasia nei termini: se l’università non fosse buona non potremmo spiegare perché i nostri giovani vanno a ruba. Ma le dico anche che è un’università che meriterebbe più risorse ma anche regole diverse sul reclutamento internazionale. L’Iit non l’ho voluto io, l’ha voluto lo Stato, ha fatto una prova e sembra funzionare. Se l’università adottasse lo stesso sistema, quello che ha portato giovani da 58 Stati a Genova, probabilmente farebbe comodo. Se fosse così non ce ne sarebbe per nessuno nel mondo. Non dobbiamo trasformare questa che è la normale crescita di un sistema in una guerra tra poveri. Posso solo contrapporre alla protervia di chi distrugge la resilienza di chi costruisce.