cultura

Debutto assoluto per la creazione del maestro Tutino
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Felice Sciosciammocca  ha ritrovato la sua Bettina (splendida, limpida  voce!). Peppiniello abbraccia finalmente la mamma. Gemma convolerà. Nei quartieri proletari arrivano spaghetti e pummarola, insieme al risultato del referendum costituzionale che cancella la monarchia e benedice la repubblica. In un angolo, i due vecchi simboli del Potere, l'agrario e il nobile, possono, nonostante lo sconvolgimento, stringere un patto futuro all'insegna del "tutto cambia, nulla cambia", affidato al nuovo che avanza (1948), di una Democrazia Cristiana che, nei metodi, mai come oggi (anzi, domani 5 marzo) torna di grande attualità. Agrario e Nobile fanno il loro patto, che oggi in Italia chiamiamo Inciucio e i tedeschi Grosse Koalition.

'Miseria e Nobiltà' convince e il pubblico genovese adotta l'opera di Marco Tutino dal divertente e colto libretto, fortissimamente voluta, nonostante tutto, dal sovrintendente Roi, in un ricorrente momento di difficoltà del teatro .
Roi ha giocato una carta rischiosa, non si è affidato soltanto alle morbide sicurezze rivoluzionarie di Tosche, Mimì influenzate e tossicchianti, ancheggiamenti gitani "pres des remparts de Seville", ma ha sfidato alcune certezze marmoree del pubblico con un esperimento, quello di commissionare un'opera, che i suoi illustri predecessori mai hanno avuto fin dal 1892. Eppure sicuramente avevano più lire a disposizione di quanti ne abbia oggi (euro) chi deve tenere in piedi un teatro lirico e operistico in una città non più disegnata per un milione di abitanti, ma in pericolosissima caduta anagrafica. Miseria e nobiltà, appunto.

Il pubblico, a parte qualche inossidabile rompiballe del "va sempre tutto male" , lo ha capito. La formula-Roi funziona. Il teatro ha aperto i cancelli alla città, consegnandosi a convegni e appuntamenti indispensabili per tenere in piedi il resto. Il palcoscenico non è mai stato profanato. Anzi. Le aperture servono a fare conoscere l'eccezionale macchina scenica del luogo ideato da Aldo Rossi e Ignazio Gardella, con Fabio Reinhart e Angelo Sibilla.

Ma ha vinto la scommessa della "commissione" a un compositore, Marco Tutino che ha saputo con i suoi librettisti, creare un'opera contemporanea e popolare. Che si fa capire seguendo la traccia geniale di Scarpetta, e rendendola storicamente comprensibile anche oggi. Lo ha fatto senza rinnegare le tradizioni. Che sono, nel nostro Paese melodrammatico in tutto, anche e soprattutto nella politica, una architettura indistruttibile, come la pommarola e la cofana di spaghetti al dente di cui Tutino, esaltando l'arte del principe De Curtis, fa ampio uso, con una lineare regia.

La scelta del sovrintendente diventa, quindi, ben più di un segnale culturale (anche perché ora a Genova, dai segnali bisogna passare alla fase dei fatti, che si vedono e si possono toccare con le manine). E probabilmente convincerà ancora di più i privati a farsi avanti e a rischiare se davvero vogliono una città nuova, fieramente portuale e mercantile ma vivace culturalmente. Anche se ha perduto un'eccellenza del calibro di Luisi...

Genova, quando vuole, sa farsi molto male. Ma riesce anche a tirarsi fuori dalle secche.