Federico Berruti da Savona contro Raffaella Paita da Spezia. E Genova? Sta a guardare. Entrambi i candidati alle primarie del centrosinistra, in vista delle elezioni regionali del prossimo anno, respingono con forza la connotazione territoriale della sfida. In linea di principio hanno ragione: la provenienza anagrafica non dovrebbe valere un bel niente, trattandosi di tornata elettorale che riguarderà l’intera popolazione ligure. Ma, nella realtà, le cose non stanno come vorrebbero Berruti e Paita. Perché la Liguria è una regione-città, in cui il peso del capoluogo non è solo politico. E’ anche, verrebbe da dire soprattutto, numerico. La vera partita si gioca sotto la Lanterna e allora, guardando Berruti contro Paita e Paita contro Berruti, l’interrogativo è d’obbligo: con chi si schiererà Genova? E si schiererà o, alla fine, spunterà un terzo nome, con radici genovesi dichiarate e solide?
Per ora sono domande senza risposta. Ma bastano e avanzano per affermare che le primarie non sono affatto entrate nel vivo. Primo: siccome riguarderanno la coalizione, il segretario Pd Giovanni Lunardon dixit, bisogna vedere chi farà parte della coalizione e se da lì spunterà un altro aspirante governatore. In tal caso, nel Pd tornerà ad affacciarsi la “sindrome Tursi”. Do you remember? Roberta Pinotti e Marta Vincenzi a darsele di santa ragione, con Marco Doria cheto cheto a mietere voti. Risultato: Genova ha eletto un sindaco non Pd.
L’ultima cosa che Lunardon, i suoi colonnelli e la gran parte dei dem vogliono è che la storia possa ripetersi: su questo, almeno, non ci sono divisioni di sorta. La prima fase della sfida Berruti-Paita, dunque, servirà a verificare se uno dei due è in grado di catalizzare il gradimento dell’elettorato genovese. Ai blocchi di partenza, la situazione è questa: Berruti, sindaco di Savona, sullo scacchiere regionale è vergine, può parlare di programma e di cose da fare in futuro, mettendo in campo il suo essere renziano davvero della primissima ora (alla Leopolda del 2012 era sul palco con l’attuale premier); Paita è assessore alle infrastrutture, ora con delega anche all’ambiente, quindi prima di parlare del futuro deve rendere conto del passato, cioè di quanto ottenuto alla guida del suo assessorato e di quanto la giunta regionale ha fatto bene, ha fatto male e non ha fatto, in più considerando che è una renziana di riporto e che per lei si è speso e si sta spendendo il simbolo di un sistema di potere al collasso, vale a dire il governatore stesso, Claudio Burlando.
“Tertium non datur”? Qui il discorso riguarda essenzialmente Berruti: se saprà incarnare davvero il cambiamento e la discontinuità (parola che non porta gran fortuna, vedasi alla voce Marta Vincenzi), in forza di scelte radicali e credibili, allora il partito potrebbe starsene. Altrimenti le grandi manovre non possono considerarsi ultimate. Tutt’altro. Anche perché ci sono delle variabili da considerare: la debolezza del centrodestra, almeno fino a che non dovesse proporre un crac di candidato, il ruolo che possono giocare forze come Liguria Civica, presenti o meno alla competizione poco importa, e soprattutto la presenza del Movimento 5 Stelle.
L'M5S continua a essere fortissimo, avvantaggiato non tanto dal fatto che lo stesso Beppe Grillo è ligure, bensì da un drappello di eletti, Paolo Putti, capogruppo a Tursi, in testa, che hanno fatto della serietà dei comportamenti e della moderazione (rispetto ai toni nazionali) il loro profilo. La cosa ha un suo valore intrinseco, perché sui grillini potrebbe riversarsi una quota di quel voto moderato che per la ragione opposta (le intemerate lessicali di Grillo in campagna elettorale) hanno premiato Renzi alle europee. Su questo presupposto, diciamocela tutta: se i 5 Stelle azzeccano il candidato, il Pd può vincere le primarie, ma rischia di perdere le elezioni.
politica
Berruti-Paita: il Pd, la "sindrome Doria" e l'incubo 5 Stelle
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