salute e medicina

Secondo un stima i super batteri nel 2050 potrebbero provocare 10 milioni di morti
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“Non bisogna dare un antibiotico al primo raffreddamento, alla prima febbre ma solo quando sono necessari. Se la tendenza attuale delle resistenze batteriche agli antibiotici non inverte il proprio corso, tra 30 anni i decessi legati a malattie infettive batteriche non più curabili con antibiotici saranno in tutto il mondo circa 10  milioni all’anno”. Così a Primocanale il prof. Claudio Viscoli presidente SITA (Società italiana terapia antinfettiva) e direttore clinica malattie infettive università di Genova ospedale San Martino di Genova.
Antibiotici senza esagerare quindi. L’appello del prof. Viscoli segue il consiglio arrivato dall’Organizzazione mondiale della sanità in occasione della settimana della consapevolezza degli antibiotici, per promuovere l’utilizzo ragionato di questi farmaci. Il tema di quest’anno, non a caso, è “Consultati con il tuo medico prima di assumere antibiotici”, una frase che dice tutto sull’impiego terapeutico dei medicinali e pone l’accento sul problema dell’antibiotico resistenza.
Secondo L’Oms il problema della resistenza agli antibiotici è un vero e proprio allarme sanitario al pari di Aids, malattie cardiovascolari ed ebola. E nel 2050 potrebbe fare più morti del cancro

Ma come è possibile?
“La prima causa dell’aumento delle resistenze agli antibiotici o della loro parziale perdita di efficacia è certamente il cattivo uso che ne è stato fatto – spiega Viscoli - fatto da tutti, medici e pazienti. In Italia, per esempio, oltre il 50% dei pazienti ricoverati in ospedale riceve una terapia antibiotica, almeno in metà dei casi senza alcuna necessità. A domicilio, l’Italia è uno dei primi paesi europei per consumo di antibiotici. Chi vuole l’antibiotico? A domicilio, lo vuole il paziente che crede, erroneamente, di potere guarire più in fretta dalla sua malattia respiratoria invernale (quasi sempre causata da virus che sono insensibili agli antibiotici). Lo concede il medico, sia a casa, sia in ospedale, perché  non sempre è sicuro della diagnosi e ha paura di non dare ciò che invece potrebbe essere necessario dare (“non si sa mai”). Si concede ciò che “tanto non fa male”, dimenticando che gli antibiotici sono gli unici farmaci i cui effetti collaterali si scaricheranno sulle popolazioni future, più che sul singolo paziente, in termini di perdita di efficacia e induzione di resistenze”.

Cosa si può fare allora?

Il problema riguarda principalmente persone con malattie di base e ricoverate in ospedale per malattie gravi – spiega Viscoli - e a lungo andare non vogliamo che questo diventi un problema per chi sta bene per questo bisogna mettere in atto politiche di “antimicrobial stewardship” ossia di buon uso degli antibiotici. Usarli:  solo quando è necessario; per la durata giusta, non più breve e non più lunga (il farmacista non dovrebbe dare la scatola, ma solo le compresse di cui il malato ha bisogno); al dosaggio massimo possibile, per non “mitridatizzare” i batteri. Migliorare l’uso degli antibiotici significa mettere in atto campagne educazionali per medici e pazienti e fornire consulenza infettivologica, sia in ospedale, sia a domicilio”.

E in Liguria cosa si sta facendo?
“La rete infettivologica ligure ha proposto all’Agenzia Regionale per la Sanità,  l’istituzione di un sistema di consulenze sia a letto del malato, sia per via telefonica o telematica, sull’uso degli antibiotici in particolare e sulle problematiche infettive in generale. Già adesso gli infettivologi del San Martino effettuano consulenze presso gli Ospedali della ASL 3. Migliorare l’uso egli antibiotici può significare, infine, anche un controllo attivo della prescrizione, come sta succedendo ormai da due anni da noi, al San Martino, dove gli infettivologi  intervengono automaticamente entro 48 ore dalla prescrizione di alcuni antibiotici, con il potere di controllare indicazioni (si/no), dosaggi e durate”.

Quindi come usare bene gli antibiotici per non arrendersi ai batteri?
“Combattere la diffusione delle resistenze significa anche combattere le infezioni correlate all’assistenza (malamente definite “ospedaliere”). Le infezioni correlate all’assistenza sono in larga parte la conseguenza diretta della complessità dell’assistenza sanitaria moderna, dell’uso sempre più diffuso di terapie immunosoppressive che curano malattie prima mortali, ma che riducono anche le difese antinfettive, dell’aumento dell’età media dei nostri pazienti, che sono quindi fragili e soggetti a complicanze infettive. Il problema è che ora la infezioni correlate all’assistenza sono spesso causate da germi difficilmente aggredibili, i cosiddetti “superbug”.  Infatti, con un gradiente geografico da sud a nord e da est a ovest, si sono andati diffondendo nel mondo ceppi particolari di batteri contro cui i comuni antibiotici non sono più attivi. Uno dei più temibili “superbugs” è la Klebsiella pneumoniae produttrice di carbapenemasi e quindi resistente a quasi tutto e, a volte, a tutto. Dal 2008 al 2014, rispetto a tutti i ceppi di Klebsiella isolati da sangue o liquor, in Italia si è osservato un incremento delle percentuali di ceppi multiresistenti  fino a valori compresi il 25 e il 50%”.