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Verso il voto del 4 marzo
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 Sulla base delle attuali intenzioni di voto degli italiani, riferisce Supermedia elaborata da You Trend per l’Agi, solo un “governo del presidente” che andasse da Forza Italia a Liberi e uguali potrebbe avere la maggioranza in Parlamento.



Infatti nessuna ipotetica alleanza post voto, sia di destra che di sinistra o sovranista tra Lega e Cinquestelle riuscirebbe a raggiungere i 316 seggi alla Camera e i 140 al Senato indispensabili per governare. Pare abbastanza difficile che il 5 marzo Mattarella chieda a un Mister X di provarci chiamando a raccolta, per salvare il Paese dal caos, dalla condanna europea e dall’assalto iettatorio dei potentati finanziari che scommettono sul crak italico, tutti, da Salvini a Grasso, passando per Di Maio e Renzi.


Detto ciò, in realtà, dal voto può uscire una strana maggioranza rumorosa. Cioè, paradossalmente, ma nemmeno troppo, esiste un “Partito del 5 marzo” o forse è meglio chiamarlo un “Movimento” per la sua intrinseca flessibilità/instabilità/umoralità, che non potrebbe governare l’Italia, ma sicuramente condizionarla molto e determinare radicali cambiamenti. Questa maggioranza nasce dal malumore. Non tanto quello grande degli italiani che, tragicamente potrebbero scegliere di non votare, ma cresciuto all’interno delle coalizioni messe su alla meglio e degli stessi partiti e movimenti.

La maggioranza dei fregati, delusi, spodestati dai paracadutati, esiliati in collegi lontani e spesso a rischio, estromessi dai loro territori, eradicati come ulivi colpiti dalla xylella fastidiosa. Non appartengono solo a un partito, ma, forse a tutti senza esclusione e attendono il 5 marzo per partire all’attacco.

All’attacco di chi? Dei loro capi, dei leader che hanno costruito a tavolino liste blindate. In caso di sconfitta o di non vittoria, scenario più che realistico, scatterebbero titaniche rese dei conti, faide, epurazioni, repulisti, ribellioni. Anche se i leader hanno fatto un lavoro aritmetico e matematico per assicurarsi, almeno per qualche mese, una sicurezza di comandare e “sistemare le cose per bene”.


Partiamo dal centrodestra dove ormai il giudizio di inaffidabilità è triplice. Non si fida Berlusconi di Salvini e Salvini di Berlusconi, ma non si fida nemmeno la Meloni. E che dire di chi ha dovuto ingurgitare i rospi della convenienza personale del leader supremo, ma soprattutto dei suoi scudieri? Per esempio i totiani della Liguria, vincitori di almeno tre campagne memorabili contro il “pericolo rosso”: elezioni regionali, comunali di Savona e comunali di Genova. Quando mai è riuscita una tripletta del genere al cavaliere? E ai suoi accoliti di svariata genia, sparsi tra Arcore e Roma? Mai. Eppure….

Se i risultati che Berlusconi esalta da uno studio-tv all’altro dovessero essere ridotti, sarebbe già una sconfitta. E il governatore della Liguria dovrebbe starsene zitto? Oppure avrebbe tutti i diritti di rivendicare la sua scelta “vincente” in parte costretta al ripiego per subire i dicktat di Ghedini e Romani?


Passsiamo al Pd, il caso più clamoroso. In Liguria un ministro del calibro di Andrea Orlando, capo di una forte corrente interna anti-Renzi, sfidante sconfitto del leader alle primarie, spedito fuori della sua terra, La Spezia, ad andare a cercar voti in Emilia Romagna (vabbé, direte era una regione rossa, quindi gioca sicuro…). La sicurezza di essere eletto c’entra poco. E’ lo smacco di essere allontanato dal suo collegio, dal suo naturale bacino di consensi che diventa umiliante. Con che faccia potrebbe presentarsi il ministro guardasigilli ancora in carica, nello spezzino?

E mi volete far credere che Orlando non attenda con ansia e desiderio di “revanche” il 5 marzo? Dunque mettiamoci anche lui in questa maggioranza, insieme ai suoi uomini migliori detronizzati per lasciare spazio ai ragazzi di Matteo. Penso, per esempio a un Lorenzo Basso, giovane e impegnato in un settore-chiave come l’innovazione e neutralizzato nemmeno con particolare eleganza.

Saranno i parlamentari e i politici che hanno dovuto “apprendere stupefatti”, “provare profonde amarezze per il trattamento riservato”, manifestare “grande delusione”, capocannonieri messi a fare i mediani in collegi a rischio. La maggioranza dei nervi tesi o tesissimi che nel Pd attende il 5 per vedere se si arriverà sopra o sotto il 25 per cento.

Maggioranza che tocca anche i Cinquestelle che non hanno gradito le scelte del piccolo lord Di Maio, bocciati che alle parlamentarie avevano trascinato forti consensi. Se ne staranno zitti, qualora? Ma figuriamoci!

Quelli del 5 marzo utilizzeranno i loro bollori per preparare pentoloni dove sperano di cuocere a fuoco lento chi li ha estromessi. E la Liguria potrà fornire a questo “partito” molti ottimi elementi. L’acqua sta scaldandosi e dentro ci hanno già buttato il dado…

Per il brodo si attende il 5 mattina.