cronaca

Sulle colline di Betlemme una fattoria dove si ‘coltiva’ il dialogo
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Si può nascere e vivere in un’azienda agricola sulle colline di Betlemme, in Palestina, fra ettari di ulivi e viti accerchiati da soldati, si può passare 25 anni nei tribunali per cercare di difendersi dall’esproprio dello Stato israeliano e non perdere la speranza, credendo nel futuro e costruendo ponti tra le persone rifiutandosi di essere nemici.


La strada è bloccata, abbiamo restrizioni come il divieto di costruire, non abbiamo acqua corrente o elettricità ma noi pensiamo che questa non sia la fine della storia, noi pensiamo che possiamo cambiare la realtà e la situazione agendo in un modo differente”

E’ la storia di Daoud Nassar 46 anni, cristiano palestinese, uno dei leader della nonviolenza del suo Paese grazie all’originale programma ‘Tenda delle Nazioni’, iniziato nella fattoria di famiglia per promuovere la tolleranza e il dialogo nei territori interessati dallo scontro tra palestinesi e israeliani.


Un incontro-testimonianza a Palazzo Ducale in una sala troppo piccola per contenere tutti quelli che sono arrivati e non solo da Genova. Una storia che ci ha raccontato proprio negli studi di Primocanale.


Su una collina a circa 15 chilometri da Betlemme Daoud e la sua famiglia vivono in una fattoria acquistata dal nonno nel 1916 quando ancora la Palestina era sotto l’impero ottomano, una fattoria passata di generazione in generazione resistendo dopo gli ottomani alla dominazione britannica e poi a quella giordana.
Dal 1991 il governo israeliano ha deciso di promuovere insediamenti di coloni attorno alla fattoria, che ora è pressoché accerchiata. Interrotta la strada per accedervi, nel 2001 è iniziata la battaglia giudiziaria per dichiarare la terra “di proprietà del governo israeliano”, nonostante le certificazioni originali riconoscano l’acquisto della zona da parte dei nonni di Daoud.


“Nel 2002 abbiamo avuto molti attacchi con alberi tagliati, di solito si risponde alla violenza con altra violenza, oppure si molla  e ci si siede e si piange ma per noi queste opzioni  non andavano  bene: noi non siamo vittime, ci rifiutiamo di odiare, vogliamo vivere la nostra fede e crediamo nella giustizia, ecco perché abbiamo iniziato un nuovo modo di resistere, un modo non violento, creativo e costruttivo per stare in piedi e dire che noi ci rifiutiamo di essere nemici e così è nata la tenda delle nazioni nel 2002”


Diverse le intimidazioni come l’abbattimento di 250 ulivi nel 2002: “per un palestinese una pianta d’ulivo è un membro della famiglia, un albero santo” Daoud lo ricorda con commozione ma con la forza che lo contraddistingue da sempre. Ed è con questa che poche settimane dopo ne hanno piantato altrettanti “un piccolo segno di speranza”. Nel maggio 2014 a pochi giorni dal raccolto l’esercito ha abbattuto 1500 alberi di albicocche. E ancora una volta – grazie all’aiuto di tanti – sono stati piantati altri 4 mila alberi da frutta. Perché uno dei progetti principali della tenda delle nazioni è quello di piantare alberi “perché quando pianti alberi significa che credi nel futuro” spiega Daoud.


“Tenda delle nazioni innanzitutto è la nostra terapia, noi vogliamo trasformare la nostra frustrazione e i pensieri negativi in qualcosa di positivo perché quando le persone sono frustrate , si arrabbiano e agiscono in modo negativo. L’idea è come trasformare il dolore in un modo positivo è questo il significato della tenda delle nazioni, di quello che facciamo”. E poi essere collegati con la terra, la fattoria è aperta perché le persone vengano, vedano, tornino a casa e raccontino. Il messaggio è che noi possiamo fare la differenza ovunque ci troviamo, anche se in situazioni molto difficili.


La strada per arrivare alla fattoria è interrotta, non hanno acqua o elettricità, non possono costruire niente e vivono in grotte proprio come il nonno che aveva comprato quella terra.


Per noi sono importanti alcuni punti: la non violenza perché violenza porta violenza; la fede che è il cuore, il centro del nostro modo di agire non violento; la speranza perché senza speranza non possiamo continuare il viaggio; l’amore, dobbiamo amare Dio, le persone, la terra perché è tutto connesso.. queste cose si intrecciano e sono la ragione per cui non molliamo.


In quella parte di mondo la terra è un fazzoletto, una coperta troppo corta, conquistata strappandosi pezzetti a vicenda.
Per comprare l’ultima collina della zona rimasta in mano a una famiglia palestinese, gli israeliani hanno offerto a Daoud addirittura un assegno in bianco, ma la sua risposta è stata chiara: “La nostra terra è la nostra madre. E la nostra madre non è in vendita”.


Daoud e la sua famiglia hanno deciso di non rispondere alla violenza con la violenza da qui l’idea di aprire la propria fattoria a chiunque voglia andare a trovarlo, accogliendo volontari che condividono l’idea di resistenza non-violenta da tutto il mondo.
Nelle tende che ospitano i volontari tutti hanno la possibilità di guardarsi negli occhi e di provare a dialogare.


“Viviamo in una situazione difficile, abbiamo difficoltà, non possiamo negarlo. Ognuno ha la sua crisi. Ecco perché è importante avere la pace nel cuore, nel mezzo del buio e delle difficoltà. Senza pace  non possiamo affrontare la realtà, i cambiamenti della vita. Dobbiamo fissare la pace dentro di noi e cercare di aiutare gli altri a pensare in questo modo. Se io non ho la pace nel mio cuore non posso donare questo dono agli altri. Quello che è importante è la conversione del negativo in positivo anche se è difficile, molto, ma non è una teoria. Noi crediamo che la sofferenza, le difficoltà non siano la fine della storia ma un passaggio”.


E chi ascolta Daoud parlare - come i tanti che lo hanno fatto a Palazzo Ducale di Genova -  non può non tornare a casa con quegli occhi color nocciola, quella pelle bruciata dal sole e quelle mani ruvide e consumate dal lavoro nel cuore, ma soprattutto con una speranza in più perché sì, forse, anche attraverso piccoli, grandi incontri, gesti concreti come quelli di Daoud e la sua famiglia si inizia a costruire la pace in luoghi dove sembra impossibile perché questa storia insegna che si può essere liberi anche tra lacrime e dolore. 


“Andiamo avanti a piccoli passi e anche se cadiamo ci rialziamo subito, continuiamo il nostro cammino per la giustizia”



Per maggiori informazioni si può consultare la pagina Facebook:
Tent of nations Italia “Qeshet” o scrivere una mail a
Oppure il sito www.tentofnations.org