Cultura e spettacolo

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Una commedia nera qua e là divertente e a tratti grottesca
3 minuti e 30 secondi di lettura
di Dario Vassallo

La ricerca dell'identità è sempre stata un tema fondamentale per il cinema. Chi siamo? Qual è il nostro posto nel mondo? Come siamo percepiti dagli altri e come le nostre azioni possono influenzare questa percezione? È una ricerca di significato che il grande schermo ha costantemente cercato di analizzare e El jockey dell’argentino Luis Ortega rappresenta questa esplorazione in modo indiretto e onirico. C’è una scena che racchiude l’essenza del film, il fumo di una sigaretta intrappolato in un bicchiere dove ketamina e liquore si mescolano creando un cocktail autodistruttivo: è il ritratto del calvario di una persona che cerca di vivere la propria vera identità. 

La trama 

Quella persona è Remo, un famoso fantino di corse di cavalli che vive un calo di popolarità dovuto al suo estremo abuso di droghe e alcol. Ha una fidanzata, Abril, che è una collega fantina. I due corrono per il gangster Sirena anche se stanno cercando una via d'uscita da questa situazione tanto più che la donna è incinta e immagina una vita da madre a tempo pieno. La situazione potrebbe cambiare se Remo riuscisse a vincere una corsa con l'aiuto di un nuovo cavallo spedito direttamente dal Giappone dai gangster di Sirena a un prezzo esorbitante ma durante la gara, proprio quando è al comando, conduce il cavallo contro una staccionata finendo gravemente ferito all’ospedale tanto che i medici lo danno già per morto o quantomeno per invalido permanente. Tuttavia riesce a lasciare il suo letto indossando una pelliccia e una borsetta e vaga per la città senza meta, perché la sua memoria sta tornando solo gradualmente. Ed è allora che inizia a identificarsi come una donna anche se il passato tornerà a perseguitarlo.

Nahuel Pérez Biscayart e Daniel Giménez Cacho protagonisti de 'El jockey'

Una storia di trasformazione e redenzione 

Non è sempre la trama di un film a renderlo interessante, a volte è il modo in cui ci viene raccontata e El jockey rientra in questa casistica. Chi cerca una narrazione con un inizio e una fine ben definiti, con una chiara risoluzione per tutti i personaggi, qui non la trova trovando piuttosto una storia di trasformazione e forse di redenzione se pure non in termini convenzionali: una commedia nera qua e là divertente, a tratti grottesca, ma anche un tenero melodramma su un uomo alla ricerca del suo vero essere in un mondo che gli ha imposto un’identità che disprezza. È un film girato con malinconia e un'energia maniacale, irto di idee, sia originali che non, più intrigante che coinvolgente con una narrazione indebolita dalla sua deliberata stranezza.

Omaggi ad Almodovar e Bunuel 

C'è un surrealismo concreto che non ha senso sulla carta ma descrive il linguaggio visivo del film che è debitore delle atmosfere colorate e sensuali di Pedro Almodóvar con richiami a Bunuel e all’assurdo scandinavo di Kaurismaki. ‘El jockey’ ha un'identità frammentata proprio come il suo protagonista ma invece di combattere questo aspetto particolare, lo abbraccia e ci gioca. Con una natura eccentrica e sfaccettata è un film su come abbiamo bisogno di nutrire o uccidere alcuni aspetti di noi stessi per rinascere, proprio come Remo rinasce uscendo dai tunnel in cui spesso si addentra nel corso della storia.

Nessuna risposta ma un inno alla libertà 

Il risultato è un'opera cinematografica eccessiva ma narrativamente sfrangiata. Ortega preferisce mettere in scena gli stati d'animo piuttosto che le azioni e da apprezzare c’è soprattutto l’impassibile prova d’attore di Nahuel Pérez Biscayart nei panni di Remo che interpreta come fosse il clown sentimentale di un film muto, un Buster Keaton con la frusta da equitazione, un parafulmine confuso degli eventi, al contrario di quello che è in realtà: un ribelle drogato che rappresenta un pericolo per se stesso e tutti gli altri. Alla fine El jockey non dà risposte alle domande che pone eppure quello che resta è la sua compassione per i misteriosi cambiamenti della vita e per l'accettazione di noi stessi al loro fianco. Con occhi indagatori, il regista ci ricorda che i muri rigidi troppo spesso crollano. Mentre le definizioni offrono un conforto fugace, la libertà fiorisce abbracciando l'incertezza e i ricchi e inquieti ritornelli della vita.

 

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