Cultura e spettacolo

Un film coraggioso su un possibile stupro che indaga il rapporto tra i sessi in tempi di #MeToo
3 minuti e 18 secondi di lettura

Di Alexandre la prima immagine che vediamo è quella di un giovane premuroso che aiuta un’anziana signora a recuperare il proprio bagaglio all'aeroporto. Proviene da un ambiente borghese, ha studiato negli Stati Uniti ed è tornato in Francia per partecipare a una festa organizzata da ex compagni di scuola e rivedere i genitori ormai separati. Il padre è un noto giornalista televisivo che non si fa scrupolo a usare il proprio potere con gli altri e in particolare con le giovani collaboratrici. La madre è anch’essa famosa, scrittrice e femminista. È a casa sua che Alexandre incontra Mila, figlia del suo nuovo compagno che sia pure riluttante accetta di accompagnarlo a una festa, nonostante i due si siano appena conosciuti. La ragazza, proveniente da una famiglia modesta, cresciuta nel rigoroso rispetto della religione da una madre poco aperta, a quella festa popolata da giovani che vivono in un universo con codici molto distanti dal suo non si sente per nulla a proprio agio. Il giorno successivo, Alexandre verrà arrestato dalla polizia in seguito ad un’accusa di stupro presentata da Mila. Sì, c’è stata  intimità sessuale, dichiara nell’interrogatorio cui viene sottoposto, ma – sottolinea- per consenso di entrambi.

E’ questo il nucleo centrale de ‘L’accusa’ del regista francese Yvan Attal che va avanti con un processo che metterà a dura prova i protagonisti e il loro rispettivo equilibrio familiare. Un processo che vede di fronte non solo un uomo e una donna ma soprattutto due modi di vivere incompatibili invitando lo spettatore a riflettere sulla complessità dei sentimenti umani, sul significato della verità e sulla definizione stessa di innocenza mentre il film in maniera assolutamente imparziale accumula argomenti e indizi, facendo attenzione a non favorire né la vittima né l'imputato in modo da seminare il dubbio nello spettatore, messo anche lui nei panni di un giurato.

Adattando il romanzo ‘Les Choses Humaines’ di Karine Tuil, Attal offre una struttura che ricorda il recente ‘The Last Duel’ di Ridley Scott articolando il film in tre parti: lui, lei, il processo. Tre sguardi ripresi dalla macchina da presa ma anche dai diversi protagonisti dello stesso evento senza che nulla venga rivelato perché quello che è successo o non è successo rimane nascosto all’interno di una casetta da giardino che serve a riporre i bidoni della spazzatura dove i due – ad un certo momento della festa – si sono ritrovati da soli. Come fosse una ‘scatola nera’ da cui è impossibile estrarre una qualsiasi registrazione, solo Alexandre e Mila hanno la chiave necessaria per aprirla o chiuderla e il suo contenuto soltanto loro due possono leggere e/o conoscere. Certo è successo qualcosa, su questo sono entrambi d’accordo, e il processo cercherà di trovare una soluzione impossibile perché non si capirà se quanto accaduto è il frutto di una decisione sbagliata, di un'interpretazione o di un semplice gioco. L’unica certezza è che due persone saranno distrutte per sempre.

Cos'è il consenso? In che modo entrambe le parti lo intendono? Attal non vuole scagionare l'uomo stupratore screditando la donna violentata, ma tenta la ricerca di una verità indicibile. Perché senza un testimone, è una parola contro un’altra all’interno di una zona d’ombra dove vengono date letture diverse dello stesso evento. ‘L’accusa’ è molto coraggioso perché in tempi di #metoo prova a trovare la sintesi fra una mascolinità in crisi che credeva che tutto fosse permesso e fatica ad adattarsi alla libertà di parola che legittimamente hanno conquistato le donne e il fatto che questa stessa libertà a forza di essere stata così a lungo ignorata può talvolta tendere a scatenarsi brutalmente. Un film alla ricerca di una verità che sa benissimo essere al di fuori della sua portata e che fra thriller e melodramma si mantiene costantemente sull’orlo dell’ambiguità e dell’orrore, sempre ben lontano da un approccio manicheo e consapevole che questa vicenda può riguardare ognuno di noi perché i mostri talvolta sono semplicemente esseri umani, uomini e donne, che prendono decisioni sbagliate nel momento sbagliato.