Cultura e spettacolo

Il grande attore a Genova per presentare il suo ultimo film 'L'ultima notte di Amore'
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Più di trent'anni di carriera con oltre sessanta film tra drammi di impegno civile, commedie di qualità, blockbuster hollywoodiani e un’infilata di premi, dalla Coppa Volpi ai David di Donatello ai Nastri d'Argento. Per non parlare della televisione. Pierfrancesco Favino, a mio avviso in questo momento il miglior attore italiano insieme ad Elio Germano, è arrivato al 'Genova Reloaded', il Festival cinematografico organizzato da 'Circuito cinema', per presentare 'L'ultima notte di Amore' che lo vede protagonista nel ruolo di un tenente di polizia che a poche ore dal suo pensionamento viene chiamato ad indagare sulla scena del crimine in cui il suo migliore amico e compagno di lunga data è stato ucciso. Presentato nel febbraio scorso alla Berlinale, ha ottenuto un successo su cui pochi facevano affidamento.

Te lo aspettavi?

"Diciamo che lo desideravo perché penso che il film lo meritasse. È stata una bellissima sfida che accettato subito quando il regista Andrea Di Stefano mi ha proposto la sua sceneggiatura. L'ho trovata bellissima, se c'era un rischio è che è un genere di film che non si faceva da un pò di tempo. Però sono convinto che alla fine i film si dividono in due categorie: quelli riusciti e quelli non riusciti e questo fa parte del primo gruppo"

"In effetti per il mercato italiano è un pò particolare, i francesi lo definirebbero un 'polar', cioè qualcosa tra il poliziesco e il noir.

"E' vero, però mi ricordo quando facemmo 'Romanzo Criminale' e tutti dicevano che questi film non avrebbero funzionato. Invece poi ebbe un successo tale da dare il via alla serie. Anche in questo caso è andata bene ma sapevamo di avere tra le mani un progetto interessante che poteva incontrare il favore del pubblico".

Dopo tutti questi anni di carriera a che punto ti senti?

"Gli anni non li conto, non mi metto lì a dire oddio, ho fatto tutte queste cose. Sono sicuramente in un momento estremamente positivo perché è fatto di tanti appuntamenti rari e interessanti, con personaggi che mi piacciono molto. Ma è anche una fase di cambiamento, ci sono alcune cose che stanno maturando per cui sono curioso di vedere quello che verrà dopo. Certo vivo un grande privilegio in rapporto ai registi con cui sto lavorandoe ai personaggi che mi stanno offrendo"

Poter scegliere i personaggi è un grande lusso...

"Porca miseria, un grandissimo lusso al quale devo dire non ci si abitua. Prima parlavi di trent'anni di carriera, rispetto a quando all'inizio capitava di dover per forza fare determinate scelte perché c'era l'affitto da pagare adesso ho la possibilità di scegliere i ruoli che mi aiutano con il mutuo della casa".

Ma tutto questo com'è iniziato? Eri uno di quei bambini che da grande voleva fare l'attore?

"Sì sì, c'è un tema di seconda elementare in cui dicevo che volevo fare l'attore specificando: l'attore comico. E' quello che vorrei fare ancora adesso, però i registi mi vedono più che nei ruoli drammatici".

Però qualche commedia l'hai fatta...

"Certo, ben vengano, ne sarei felicissimo".

D'altronde sei uno dei pochi attori che si prende molto in giro. Mi viene in mente l'episodio in tv di 'Chiami il mio agente" nella parte di Che Guevara.

"Non sia sa mai che mi prendessi troppo sul serio. Sono felicissimo di prendermi per il culo".

Nel corso della carriera hai fatto centinaia di interviste rispondendo a migliaia di domande. C'è una domanda cui ti sei stancato di rispondere, così mi faciliti il compito e non te la faccio.

"Parlaci del tuo personaggio. Quando voi giornalisti fate questa domanda dimostrate di non avete alcun interesse per la persona che intervistate. Vi hanno mandato lì, non avete visto il film e cercate di capire qualcosa. E' una domanda alla quale non si può rispondere e io lo dico prima".

A proposito di giornalisti, non so se sia una leggenda metropolitana inventata da qualche mio collega ma ho letto che hai una agendina che ti porti quasi sempre dietro dove noti le cose, fai disegnini... E vero?

"Sì, quando preparo un film ho sempre il mio taccuino, anche sul set, dove tengo una specie di diario di bordo in cui prendo note. Mentre studio la sceneggiatura annoto i miei pensieri, le mie domande sulla storia, come dei puntelli. Tutto questo mi serve ad avere un'idea della vicenda e anche un pò del personaggio che devo interpretare. Più domande che risposte, e poi ogni tanto qualche schizzo, qualche disegno dovuto magari a un'immagine che mi viene in mente".

Nel corso della carriera, o magari agli inizi, c'è qualche attore cui volevi far riferimento? Qualcuno che ti ha ispirato particolarmente?

"Tantissimi ancora oggi, attori e attrici. L'ultima che mi ha colpito enormemente è stata Cate Blanchett in 'Tar'".

"Penso che gli attori non abbiano sesso, quindi uno può essere ispirato da un bambino, da un'attrice, da un attore anziano, anche da non attori. Non credo di mai aver imitato un attore particolare e se l'ho fatto magari è venuto fuori per abitudine ad averlo visto spesso. Certo, ci sono attori italiani e stranieri che ho visto e rivisto domandandomi: come ha fatto a far quella cosa lì? Cosa l'ha portato in quella direzione?"

"Questo l'ho fatto spessissimo con Volonté, Mastroianni, Gassman, Tognazzi, Totò, De Niro, Noiret... Oggi continuo a farlo con Bardem, con Jessica Jones e Sam Rockwell. Fortunatamente c'è un bacino talmente grande di attori dal quale farsi ispirare che è bellissimo".

Qual è il percorso di avvicinamento ad un personaggio? Ed è sempre lo stesso?

"No, è sempre la sceneggiatura a suggerirti qual è il viaggio da fare. Se tu dovessi andare in montagna, al mare, al lago o in campagna la tua valigia è piena di cose diverse, perché sai che affronterai in qualche modo climi differenti, altre temperature e ti toccherà magari camminare nel fango o affrontare scarpinate".

"Quando ho di fronte una sceneggiatura, la leggo senza pensare che dovrò interpretare quel ruolo ma come se stessi leggendo un libro. Ecco, è come avere un libro che hai sul comodino, torni a casa e vieni immerso in quell'atmosfera e quell'atmosfera è fatta di alcuni colori della tua immaginazione che piano piano si libera".

"Così ogni volta che affronti un ruolo è come se venissi guidato a capire quali sono le armi che devi affinare per poterlo affrontare piuttosto che gli strumenti che ti servono".

Può capitare che magari una sceneggiatura non ti convinca ma c'è comunque un regista su cui puoi contare per cui pensi che alla fine il prodotto sarà comunque dignitoso? 

Può capitare anche se di solito la sceneggiatura, quantomeno nella sua struttura, è una garanzia di solidità del racconto. Però è anche vero che quando sei poi nelle mani di maestri che hanno una loro visione, quel racconto può improvvisamente diventare altro. Per esempio, le sceneggiature di Bellocchio sono tutte scritte al condizionale: non è mai 'adesso succede questo' ma quasi sempre 'potrebbe essere così' ed era una cosa molto bella".

Hai ancora paure nel fare questo lavoro?

"Scherzi? Io non dormo mai il giorno prima di iniziare un film. E la paura dura nel tempo ma mi fa piacere, non vorrei mai sentirmi troppo sicuro di me stesso. Non penso neanche sia neanche quello che le persone vogliono vedere, un attore troppo sicuro di sé".

Una volta interpretato un personaggio, lui se ne va o qualcosa resta comunque? E c'è qualcuno che è rimasto più di altri?

"Sicuramente, però detta così fa pensare che uno chiude la porta e rimane nel ruolo. No, non è che tornando a casa dopo aver interpretato Buscetta parlassi o mi muovessi come lui. Magari prima, me lo faceva notare mia moglie che mi diceva: ma tu non cammini così. Diciamo che ti lascia qualcosa a livello più profondo, lascia dentro di te la possibilità di relativizzare quello che tu pensi del mondo".

"Se prima di affrontare un ruolo hai magari una certa opinione su un argomento, avendolo affrontato anche per finzione è come se allargassi le maglie di questa tua comprensione. E' una cosa molto bella perché credo che soprattutto oggi dove tutti quanti siamo certi di conoscere ogni cosa, tutti quanti siamo grandi opinionisti su situazioni di cui sappiamo veramente poco avere la garanzia di fare con un mestiere che invece nutre i tuoi dubbi mi fa pensare che fosse proprio quello che volevo fare".

C'è un film cui sei più legato o sono tutti tuoi figli?

"No, sono io che sono figlio loro, molto raramente i film sono figli di un attore. Diciamo che al massimo sono fratelli, ma sono figli dei registi".

Il tuo rapporto con Genova? Mi ricordo che una decina di anni fa eri qui a teatro con 'Servo per due' insieme ad un genovese doc come Ugo Dighero. La conosci?

"Sì ma meno profondamente di quello che vorrei. Ho un rapporto di grande stima per tutto quello che è stato il teatro di Genova e per gli attori che sono usciti da qui, l'ultimo genovese con il quale non ho lavorato ma che ho lambito è Maurizio Lastrico. C'è un legame di condivisione, molto attuale e molto moderno, su come vediamo questo mestiere".

In quello spettacolo eri anche regista. Non ti è mai venuto in mente di fare una regia cinematografica?

"Ogni tanto me lo propongono poi però lavori con Bellocchio, con Amelio, con Salvatores e dici: ma io non sarò mai in grado di fare queste robe qua. Non penso sia fatale che un attore debba diventare regista di cinema. A teatro mi piace molto, forse perché hai più a che fare con gli attori, con la scena, al momento mi sembra più semplice. Poi mai dire mai, domani magari cambio idea, mi metto la sciarpa, il cappello e faccio partire il ciak".

C'è qualche rimpianto? 

"Non particolarmente. Forse la mia storia sarebbe andata in maniera differente se avessi scelto di rimanere negli Stati Uniti però a giudicare da cos'è il cinema americano in questo momento penso di aver fatto bene a ritornare in Italia".

Il sogno nel cassetto?

"Riuscire a recitare come penso si possa. Quello è veramente un sogno".