
C'è il "fumus" del reato di falso e per questo il telefono sequestrato a un commissario superiore della polizia locale, indagato nell'ambito dell'inchiesta che vede coinvolti 15 agenti, non deve essere al momento dissequestrato. A deciderlo sono stati i giudici del Riesame di Genova che hanno respinto la richiesta di riavere gli smartphone.
Al centro una firma su un verbale
Il commissario è accusato di avere messo la firma, in qualità di funzionario, su un verbale e una comunicazione di notizia di reato su una perquisizione attestando che vi avrebbe partecipato una funzionaria che in realtà era altrove. La falsa attestazione è stata ricostruita dagli investigatori della squadra mobile, coordinati dalla pm Sabrina Monteverde, incrociando le conversazioni nella chat "Quei bravi ragazzi" e le celle telefoniche agganciate dalla funzionaria al momento della perquisizione.
Secondo le celle telefoniche la agente era a 14 chilometri di distanza
È così emerso che la agente era a 14 chilometri di distanza quando l'immobile occupato abusivamente da un ragazzo di 17 anni, straniero, veniva sgomberato e perquisito da agenti semplici senza la supervisione di un collega di grado più alto. Per i giudici del Riesame vi sono "persuasivi elementi di fatto quantomeno indiziari, sulla cui base ritenere sussistente il fumus del reato ipotizzato".
Il dubbio degli inquirenti
Il dubbio degli inquirenti è però che quello non sia stato un episodio isolato. E quasi a confermarlo sono anche alcune frasi che gli agenti si scambiano nella chat. Come nel caso di una perquisizione illegittima perché non autorizzata dal dirigente, e infatti non verbalizzata, fatta a un italiano a cui sarebbero stati rubati 1.200 euro. Dopo quell'episodio uno degli agenti scrive: "il problema è che con questo giochino abbiamo fatto un bel po' di reati".
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