Cronaca

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L'artista, "l'ultimo erede del grande violinista", avverte: "Per fare teatro non basta essere carini e postare contenuti sui telefonini, ma serve lavorare sul sul corpo. Il mio esempio? Gianmaria Volontè"
3 minuti e 0 secondi di lettura
di Michele Varì

"Sono genovese, sono Paganini, sono l'ultimo discendente di Nicolò e sono sestrese di Riva Trigoso".

Sfacciato come deve essere un attore, Davide Paganini si presenta così e poi svela come ha intrapreso questo lavoro-non lavoro, e lo fa durante la presentazione della prossima edizione del Andersen Festival in programma dal 3 al 5 giugno a Sestri Levante che lui grazie a Mediaterraneo Servici cura come braccio destro del regista Duccio Forzano.


"L'Andersen per me è cominciato molti anni fa, con la sua prima stagione come festival, 28 anni fa, io avevo 16 anni e facevo un po' l'uomo di fatica, cioè il ragazzino di fatica, perché ero veramente giovane.  Diciamo che gran parte della passione per questo lavoro può essere anche stata trasmessa durante l'Andersen, perché mi sono appassionato, poi da lì sono stato a fare la scuola di teatro a Bologna, sono andato a Roma a fare l'accademia, e da lì è partita un po' quella che potrebbe essere chiamata la mia carriera".


Già da bambino sognavi di fare l'attore?

"No, sinceramente non lo so, quando ero a scuola ero l'unico che veniva interrogato alla cattedra, e quando mi giravo i miei compagni diventavano il mio pubblico, gli unici voti alti che riuscivo a prendere erano quelli di quando andavo alla cattedra, prendevo nove, nove e mezzo"

Ti piaceva già esibirti allora?

Sì, è andata così, poi l'insegnante d'italiano mi disse, ma perché non la smetti di rompere a noi e vai a fare teatro? Ma io non sapevo neanche cosa fosse il teatro quando avevo 16 anni".

Quali consigli daresti a un ragazzo che vuole fare teatro, come si inizia in Liguria e a Genova?

"Ci sono tante scuole, possibilità. Ecco, vorrei che un ragazzo oggi non fosse distratto dalla facilità con cui si possa credere che la televisione arrivi così stando al bar o perché si è carino, perché si mettono dei contenuti sui telefonini. Credo che la cosa migliore per diventare teatro sia quella di studiare, nel senso che c'è una tecnica, c'è uno studio. Come un musicista, un cantante o un pianista studia ore anche l'attore deve studiare.
L'attore studia come un musicista e il suo strumento è il corpo umano, la voce è il proprio corpo, quindi bisogna imparare, fare analisi, studiare, lavorare sui sentimenti. È un lavoro vero e faticoso arrivare a fare di questo un mestiere e non bisogna pensare che sia facile.

Paganini alla domanda sul suo attore di riferimento cita un mostro sacro.

"Sicuramente Gianmaria Volontè, che è uno dei migliori, ma poi ce ne sono tantissimi".

Paganini ha già esordito nel cinema.

"Ho prodotto adesso il mio primo film "La Maratona di New York" con la mia società di produzione The Box,  che è stato tratto da un testo teatrale che ho prodotto. Sono stato pure a Doha durante i campionati mondiali di atletica leggera. Il film parla di due amici che corrono per andare a fare la Maratona di New York e durante questa corsa snocciolano la loro vita, parlano dei rapporti con le donne, del rapporto con la famiglia, con il lavoro, con gli amici. Quindi questo porta fino a un finale inaspettato che non voglio e non devo spoilerare.

Ma tu corri?

"Ho corso per fare l'allenamento e corro solo quando sono inseguito e devo scappare. Per il resto non corro.

Cosa è rimasto in te del discendente così importante che suonava il violino?

"Non lo so, forse è rimasto qualche piccola proteina di arte, qualcosa del genere, che mi è stata tramandata, perché non so come mai sia arrivata questa vocazione. Non lo so, è arrivata. Dico sempre che l'arte è arrivata come una chiamata, però non avevo capito che era con uno scatto alla risposta".

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