Se davvero le “prove generali” in politica si fanno a Genova (dalla prima giunta di centrosinistra nel 1961 con Milano, sindaco Vittorio Pertusio, all’ultima scissione nel Pd, quella dei cosiddetti 200 anti-Burlando e Paita, che diede vita a Articolo Uno, Leu e a altri gruppi nel 2015), l’uscita annunciata ma poco considerata dei cattolici Rossetti e Lodi in formato anti-Schlein e anti molte altre cose, rischia di diventare presto una scissione nazionale, quella che non ha fatto Bonaccini, ma non è detto che facciano altri. La Schlein ha dato una forte sterzata a un partito affannato, ha riportato a casa personaggi del calibro di Bersani e localmente uomini con molti voti come Luca Pastorino, ma forse ha trattato male l’area riformista e cattolica, nonostante la presenza importante di Bonaccini, che sembra oggi molto ridimensionato e fin troppo silenzioso.
L’area di Base democratica in Liguria era, è forte, Cristina Lodi è una macinatrice di preferenze e Pippo Rossetti ormai uno “storico” della sinistra cattolica ligure che decise di dare vita con i riformisti del Pds-Ds al Pd veltroniano. La scelta annunciata venerdì di abbandonare il partito che Elly Schlein sta spostando su posizioni più di sinistra con l’appoggio di molti big tra i quali il ligure Andrea Orlando, responsabile di tutte le ultime decisioni del Pd locale, con magri risultati per usare un cortese eufemismo, non può essere presa sottogamba dai vertici nazionali del partito. Sarebbe un ennesimo colossale errore di valutazione.
Se davvero, come hanno raccontato i due fuggiaschi, Base democratica è stata regolarmente messa all’angolo da ogni decisione questo è stato un grave errore anche banalmente tattico della dirigenza locale che dovrebbe tentare di tenere insieme quello che oggi resta della grande sinistra, erede da un lato del Pci berlingueriano e dall’altro delle correnti più avanzate della Democrazia Cristiana e poi della Margherita. Nel vecchio Pci ci stavano Secchia e anche i cattolici come Rodano e Ossicini. E nella Dc i conservatori e i super-progressisti.
Ma la seconda sorprendente novità di questa “scissione genovese” (per ora) è che non si limita a uscire dal partito, ma va ad accasarsi in un’altra formazione politica di recentissima origine, cioè quell’Azione di Carlo Calenda che sta al centro, ma guarda a sinistra, cioè non si abbandona a slanci affettuosi verso la maggioranza di centrodestra meloniana e soprattutto post-berlusconiana, ma sembra per ora essere fermamente autonoma da un lato e più progressista su alcuni temi decisivi anche di identità politica.
Perché se anche un'eventuale scissione nazionale si risolvesse in un rafforzamento delle fila di Calenda questo sommovimento potrebbe davvero avere ripercussioni clamorose nella confusissima politica italiana. In un periodo che si sta preparando a elezioni europee e anche se mancano quasi tre anni alle prossime elezioni regionali che in Liguria potrebbero essere molto ma molto incerte.
Ecco che la “scissione di Genova”, se dovesse essere sottovalutata a Roma, sarebbe un madornale errore, l’ennesimo fiasco dei liguri che stanno da tempo seduti sulle poltrone della Capitale ceffando a ogni appuntamento politico (soprattutto locale) ogni scelta.
Ma la “scissione di Genova” darà scossoni anche nel Pd a Roma
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