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"Sono disponibile a ricandidarmi, ne parleremo". E se dopo la ricandidatura arrivasse la vittoria, Giovanni Toti sarebbe governatore della Liguria per la terza volta. Non è una sorpresa. Certamente conta più come presidente della pur piccola Liguria che come parlamentare, solo un po' più noto degli altri. Però può stupire che lui faccia una simile affermazione in questo momento, perché sembra precludergli anche la possibilità di fare il ministro o il sottosegretario se la spuntasse la sua parte. E però, viva la chiarezza. Visti i tempi, non è da poco. La regola aurea, infatti, sembra diventata quella di negare tutto, a volte anche l'evidenza. Salvo poi "avere dei ripensamenti", dettati dall'essere "al servizio del Paese".

A essere onesti, succede un po' in tutte le attività umane soffrire di questa forma di incoerenza. Ma la politica, inutile dirlo, è regina. Ricordate Giorgio Napolitano? Sperò pubblicamente in un "percorso istituzionalmente corretto", che significava no ad un secondo mandato al Quirinale. Naturalmente, ha fatto il bis come Presidente della Repubblica.

E il suo successore, Sergio Mattarella? È andato persino oltre. Prima ha detto che di un altro settennato neanche si sarebbe dovuto parlare, poi ha addirittura fatto trasloco dalla residenza presidenziale. Quando è stato il momento, però, "non ha potuto" opporre un no al Parlamento che lo chiamava al capezzale della Repubblica. E oggi è il nostro beneamato Primo Cittadino d'Italia.

Ora tutti, a cominciare da noi giornalisti, siamo a dare la massima enfasi al "no" pronunciato dal premier Mario Draghi su una sua possibile permanenza a Palazzo Chigi anche dopo le elezioni di domenica prossima. E che mai avrebbe dovuto sostenere Supermario? Di questa politica non si fida e ha ragione. Quando non ha detto, ma ha solo fatto capire che lui al Quirinale ci sarebbe andato stravolentieri, i partiti che lo sostenevano lo hanno incatenato alla guida del governo. E al momento buono gli hanno pure fatto mancare l'appoggio sull'esecutivo di emergenza, anche se resto dell'avviso che in questo caso sia stato soprattutto lui a voler troncare.

Adesso, quindi, non può che affermare "no" ad un secondo mandato. Tuttavia, criticando Salvini e Meloni, Draghi lascia intendere che se il prossimo 25 settembre il voto andasse in un certo modo lui potrebbe esserci. In pratica, ha una voglia matta di restare al suo posto, per dialogare da pari a pari con i grandi della terra e far valere in tutti i consessi le sue indiscutibili qualità tecniche. Avendo sempre nel mirino il Quirinale.

Tutto questo, però, Draghi non lo dice. Anzi, a domanda risponde, in modo secco e laconico: "No". Ma esagera. Perché ci aggiunge un sorrisino ironico, trasformando quella parolina in una affermazione sprezzante, condita da una dose di alterigia. Ah, inoltre dovrà essere chiamato, come a suo tempo fece Mattarella. Perché lui, Supermario, non può sporcarsi le mani con quella cosa chiamata voto dei cittadini. Per questo preferisco Toti, che su un eventuale altro mandato almeno ci mette la faccia.