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di r.c.

Gianni Berengo Gardin, uno dei più grandi fotografi italiani del Novecento, è morto a Genova il 7 agosto 2025 all’età di 94 anni. Nato a Santa Margherita Ligure il 10 ottobre 1930, ha attraversato sette decenni di storia fotografando in bianco e nero la memoria visiva dell’Italia. La sua carriera iniziò negli anni Cinquanta e si sviluppò nel reportage, nella fotografia sociale, architettonica e ambientale. Con oltre 260 libri fotografici pubblicati e centinaia di mostre personali in tutto il mondo, Gardin è stato un punto di riferimento della fotografia italiana, noto per il suo sguardo umano e poetico. Ha collaborato con molte testate giornalistiche e fotografico-editoriali di rilievo, documentando temi sociali, il lavoro, l’architettura e il paesaggio italiano. La sua opera è considerata di grande valore e viene spesso paragonata a quella di Henri Cartier-Bresson.

Cordoglio nel Levante Ligure per la scomparsa del grande fotografo Gianni Berengo Gardin, nato all'hotel Imperiale tra Camoglie Santa Margherita il 10 ottobre del 1930 dove sia madre svolgeva la mansione di direttrice. Berengo Gardin ha vissuto a Venezia studiando e iniziando con la fotografia giungendo a pubblicare oltre 260 libri e ricevendo riconoscimenti in ogni parte del mondo. Amava Venezia ma non ha mai dimenticato la sua casa in collina a Camogli dove trascorreva le vacanze estive. Proprio a San Fruttuoso di Camogli l'ultima sua mostra dedicata alla Liguria.

Dagli indimenticabili baci sotto i portici di San Marco a Venezia, ai volti riflessi nei finestrini di un vaporetto, agli straordinari gruppi di famiglia contadine: in un lungo ritratto lungo oltre sessant'anni anni nel cuore, nell'anima dell'Italia, di cui è stato maestro e cantore. Ci lascia a poco meno di 95 anni Gianni Berengo Gardin, maestro del racconto fotografico, scrittore per immagini, storico sociale del Belpaese. Sebastiao Salgado, altro grandissimo fotografo, anche lui artista di immagini di denuncia dal forte impatto emotivo, lo ha definito in modo totale: "fotografo dell'uomo".
     L'incontro con la macchina fotografica per il "ragazzo con la Leica" arrivò da molto giovane, quando, insofferente al fascismo, Berengo Gardin prese in mano la macchina fotografica della madre e invece di consegnarla ai tedeschi, come era stato ordinato, andò in giro a fare foto. Nacque così, quasi per caso, la sua straordinaria avventura per raccontare l'Italia e gli italiani, in un mix tra le sue vicende e percorsi di vita che rispecchiavano, sovrapponendosi, quelle di un mondo che cambiava.
    Il trasferimento dalla Liguria a Roma occupata, poi al ritorno del padre dalla guerra, malato e senza lavoro, la famiglia che si spostò a Venezia dove per sbarcare il lunario lui si industriava a fare anche il bagnino, poi la Svizzera e Parigi dove lavorò come receptionist e dove conobbe i più grandi fotografi, da Robert Doisneau a Daniel Masclet, o personaggi della cultura, filosofi come Jean-Paul Sartre. E ancora il ritorno a Venezia, la scoperta, o meglio la "folgorazione", per Life, la rivista che gli consigliò Cornell Capa, il fratello di Robert. Poi i lavori per Longanesi al Borghese e al Mondo di Mario Pannunzio, con cui si sentiva più affine.
    Fotografò i cambiamenti sociali degli anni '60, con i migranti nella Stazione Centrale di Milano, l'humus che nutriva in quegli anni l'Italia, compresa la successiva contestazione giovanile, con la foto che immortalava la Celere che caricava di dimostranti in piazza San Marco, l'impegno sociale, con i suoi scatti sui manicomi che lo avvicinarono a Basaglia, le amicizie con gli scrittori ma anche con gli imprenditori illuminati, con Olivetti, poi l'esperienza di Luzzara con Zavattini negli anni '70, fino al sodalizio con Renzo Piano negli anni '80 nei suoi cantieri, a Genova e nel mondo, poi la disperata allegria dei sinti negli anni '90, le risaie del Vercellese nel nuovo secolo e poi la sua l'ultima sua grande battaglia civile contro le Grandi Navi, ritornando a Venezia, negli anni '10 di questo millennio.
       Tutto sempre stampato in bianco e nero: "il colore distrae" sosteneva, a ragione. E tutto rigidamente analogico: i suoi scatti sono tutti rigorosamente in pellicola. Instancabile lui e la sua arte che non ha mai finito di affascinare il pubblico.

 

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