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GENOVA - Traffico di stupefacenti, reati nel settore economico e finanziario ma anche ruoli apicali nella gestione dei clan, senza però riuscire a sfuggire alle dinamiche del patriarcato: all'Università di Genova si è parlato delle "donne d'onore", la cui vita è stata segnata dall'attività nella criminalità organizzata, all'interno dell'iniziativa "Leggere l'antimafia".

Donne come Maria Serraino, che trasferitasi a Milano alla fine degli anni 60' aveva costruito un impero criminale legato al traffico di stupefacenti, "un'organizzazione criminale internazionale riconducibile ad un clan di 'Ndrangheta" spiega Ombretta Ingrascì, ricercatrice in sociologia all'università degli studi di Milano. La sua attività criminale è andata avanti fino ai primi anni '90, fermata dalle indagini e dalle operazioni coordinate dal magistrato Maurizio Romanelli. Nella sfera domestica però Serraino "subiva violenze da parte del marito" racconta Ingrascì: "queste donne hanno delle storie di vita in cui ci sono dinamiche fortemente patriarcali".

Ma ci sono anche donne che si ribellano, che collaborano con la giustizia e testimoniano. "Innescano un processo di separazione, di trasformazione che porta importanti cambiamenti non solo sul piano individuale delle donne stesse, con ricadute sulle scelte dei figli e sul loro destino, ma ha anche un impatto sul piano sociale: le loro testimonianze danno un contributo ai magistrati per capire le organizzazioni - spiega Ingrascì -. È importante perché si afferma l'etica della parola contro la legge dell'omertà".

Parlare di mafia è importante anche qui a Genova "perché la mafia è dappertutto, dove c'è debolezza, dove non si parla di lei, dove i diritti non sono garantiti - spiega Francecsa Vablais del presidio Francesca Morvillo -. Bisogna sapere che c'è e bisogna capire come funziona per poterla intercettare, per poterla bloccare e restituire alla comunità tutto ciò che nasce dal mercato illegale